Giordano Praticò ebbe per la prima volta il sospetto di essere una persona orrenda - o forse troppo sensibile, non riusciva a carpire la differenza allora - la sera del ventitré gennaio del duemiladue, quando dopo aver sentito al telegiornale della morte di Vittorio Mero, poche ore prima che il Brescia, la sua squadra, affrontasse il Parma, in Coppa Italia, dopo aver sentito al telegiornale di questa scomparsa tragica e prematura s'era catapultato alla Playstation, aveva imbracciato la joypad con ansia, atteso che Pro Evolution Soccer si avviasse - uannosakà, gicciò, uinning ilèven misèn - poi aveva selezionato "Modifica", "Trasferimenti", Brescia, aveva cercato Vittorio Mero, maglia numero tredici, e l'aveva trasferito al WE United, una di quelle squadre che non ci si gioca contro mai. Non avrebbe mai tollerato l'immagine di questo difensore comparire in tackle scivolato su Batistuta.
Giordano Praticò ebbe per la seconda volta il sentore di essere una persona orrenda il pomeriggio del due marzo del duemiladue, quando dopo aver appreso dal notiziario dell'imprevista dipartita di Jason Mayélé, poche ore prima che il Chievo, la sua squadra, partisse per andare ad affrontare il Parma, s'era precipitato alla Playstation, aveva atteso che Winning Eleven s'avviasse, e insomma: si capisce.
Giordano Praticò s'è definitivamente convinto di essere una persona orrenda il giorno in cui ha deciso che ogni volta che avrebbe affrontato il Parma, nella finzione del videogioco, avrebbe abbassato il volume, tolto il tifo, fatto calare uno spleen di tristezza sulle gradinate, nel televisore, e speso parole di cordoglio per il lutto improvviso che avrebbe colto, facendoli venir meno alla gara, ora Emerson, ora Delvecchio, ora Vincent Candela.
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