Che poi è una sensazione tra il fastidio ed il sollievo, quella che ti suscita un vuoto: il fastidio del non-pieno, della lacuna, del buco scarno, ed il sollievo che non c'è da far altro che aspettare, perché arriva per tutti, il giorno e l'ora giusta, diciamocelo, e allora meglio viversela serenamente.
Il trotto della volpe, il foxtrot, è in quattro quarti, passo lento passo lento e poi passo veloce passo veloce. Non è difficile, dopotutto, basta seguire qualche accorgimento spicciolo e non avere paura: indossa l'abito e l'espressione più ebete che hai, strabuzza gl'occhi in un gemito di concentrazione, scivola sul parquet vuoto, tu e lei (una lei purtuttavia randomica, non è necessario sia sempre la stessa) al centro della sala vuota, fastidio e sollievo, sollievo e fastidio, conta i passi (unduetrè, unduetrè) e fanne solo di giusti, se puoi.
Insieme al tango ci sono due variazioni di valzer, l'inglese ed il viennese, e due accezioni di trotto della volpe: uno coi battiti accelerati, più tàratatàratatà, si chiama quickstep, uno coi battiti più morbidi, più tudùrun-tuun, più volpe che rallenta, lo slow fox. Questi cinque balli, messi insieme, fanno un bouquet danzerino che qualcheduno un giorno ha chiamato standard, forse, dicono, in omaggio a Stanley Dard detto Stan, uno che deve aver scritto pagine dorate nella storia del foxtrot: valzer, tango e trotti di volpe tutti sono i passi più tipici, più normali e naturali, e quindi quelli eletti, diceva Stan.
Elezione per affinità elettive: in Luisa mi sono imbattuto dopo tanto cercare, c’è chi s’impone come standard la donna ideale, per me l’ideale era una donna standard. L'ho stretta per la prima volta che era mercoledì ed abbiamo trottato come volpi tutta notte. Volevo una donna che fosse non troppo alta né troppo bassa, non troppo avvenente né del tutto ripugnante, bionda bionda no, ma neppure mora mora. Che le piacesse discretamente ridere, bere, ballare e poi fare l’amore, come a tutte. Ma soprattutto: ballare. E’ molto medio, molto normale, ballare.
Luisa lo è, media, come una birra: non ti lascia la sete né ti ubriaca, ci passo serate che non mi appagano né mi sconvolgono, certe volte la guardo negli occhi contando i passi e vedo che mi fissa senza fissarmi lei pure, con un asettico unduetré unduetré nella mente. E' normale, Luisa, così corso di danza quando stacco da studio, così donna cui affidare l'altro lembo del metro quando prendi le misure in casa, una con cui non si discute, ci si incontra subito, ovviamente a metà strada, e la nostra metà strada, oggi, si chiama Billy.
Billy non ha troppi fronzoli per la testa impiallacciata: è a compartimenti stagni, molto adattabile, molto assecondante. Billy è la più celebre libreria di Ikea, roba che la monti in un secondo. Non hai bisogno di architetti progettisti o direttori dei lavori per Billy; ci si accontenta, di Billy. Né alta né bassa, né larga né stretta, non una variazione, non un arabesco: Billy è quadrata, e lontana dai concetti di stupefacente e sorprendente quanto una commessa di Ikea di nome Anna, e coi capelli rossi.
Comprare Billy con Luisa, caricare Billy sulla stessa auto in cui siede Luisa (che né tira giù tutto il finestrino, né lo lascia chiuso: lo apre per metà), ghiacciarsi le mani con il vento freddo ch'entra nell'abitacolo in autostrada, arrivare a casa e montare Luisa prima di montare Billy significherebbe ricamare con il filo rosso della prevedibilità un sabato pomeriggio tipico, normale: standard.
Epperò.
Epperò capita che poi ti rendi conto che c’è una spalletta che non avevi considerato, un dislivello del pavimento, un’arditezza architettonica irrichiesta, ed è lì che subodori l’afrore sensuale degli accadimenti impianificati. Senti le mattonelle divellersi in uno strepitio di certezze infrante: Billy non c’entra. Billy non ci va.
Luisa, l’hai voluta tu così, proprio non riesce a scenderci a patti, con quest’imprevisto, non prorompe in una crisi isterica mentre piglia a calci i merdosi ripiani dell’Ikea del cazzo, non le passa per la testa di fregarsene e trascorrere tutt’il pomeriggio a scoppiare le bolle dell’imballaggio e fare l’amore nel sottoscala, lei è così riproviamoci, così dobbiamo aver sbagliato da qualche parte, così non può essere.
Ed ha ragione, Luisa, a dire che non è possibile, che dobbiamo aver sbagliato da qualche parte. Sai dov’è che alberga il nostro fallimento, Luisa mia? Nel solito annoiato trottare a passo di volpe, nell’esserci scelti, nell’aver scelto Billy, nel fatto che finiremo prevedibilmente per accontentarci di un’anta che non s’aprirà mai perfettamente, e d’una storia che non sboccerà mai completamente.
E allora sai cosa c’è, Luisa, c’è che domani m’alzo presto e ti butto nella pattumiera, te ed il tuo essere media, te e la mia fissazione per lo standard.
Una cucina, è per sempre, un gioiello, mica una libreria, mica una donna, mica una donna media come te, mica una libreria triste come Billy, Luisa cara.
Sai che si fa?
Si fa che ve ne andate in malora tutt’e due, domani: prima la donna e poi il mobile.
[è una ròba uscita qualche tempo fa per i
collettivomènsi, in cartaceo, coi disegnini belli di Marco Puré. M'è tornato in mente ieri sera quando di ritorno dall'ichèa ho capito che son mica bravo per un cazzo, io, a comprare mobili]
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