Che poi pensavo, in punta di piedi e senza la pretesa di farne un postulato, semplicemente così, a personalissimo memento, che quando traduci devi sforzarti di assumere le sembianze di chi stai traducendo, chiamiamolo Gianbattista: e quindi indossare le giacche di Gianbattista, una spruzzata del profumo di Gianbattista, la brioscia al bar preferito di Gianbattista, la telefonata delle diecieunquarto di Gianbattista, le bestemmie di Gianbattista, la lingua attorcigliata di Gianbattista, i suoi pensieri scapestrati, il quotidiano preferito di Gianbattista dopo cena, e quando cala la notte ficcarti sotto le coperte di Gianbattista, e niente: fottergli la moglie.
Fottere la moglie di Gianbattista, però, è occupazione difficilissima tra le più difficilissime: bisognerà usare l'attenzione di non surclassare le prestazioni di Gianbattista, né scendere sotto il livello minimo di soddisfacimento della consorte; è lì che risiede la bravura: capire com'è che vuole essere fottuta, la moglie di Gianbattista.
Chi, nell'irrichiesto esercizio della propria vanagloria, la farà prorompere in goduriosi ululati (cosa che non è abitudine di Gianbattista) si rivelerà un pessimo traduttore alla stregua di chi si limiterà alla meccanica del gesto copulatorio (Gianbattista, almeno, ci mette il sentimento).
Il successo, quando si fotte e quando si traduce, può a ragione considerarsi raggiunto solo se alla fatidica domanda attorcigliata su spirali di fumo blu, ti è piaciuto?, la moglie di Gianbattista risponderà come al solito, Gianbattì, come al solito.
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