E niente: nell'ultimo racconto dell'ultimo libro che ho appena finito di scrivere c'è un pezzo in cui si parla di imbalsamazione.
C'era questo Galeazzi Lisi che non era un cuoco, non propriamente, però avvolgeva le carni nella carta pellicola strette su un letto di erbe aromatiche e spezie, arranca Marzio, la luce ancora troppo bassa. Ma quelle carni si decomponevano, rapide, troppo rapide, s'ingrigivano agl'angoli, secernevano inquietanti mucose. E iniziavano a puzzare (cosa stai dicendo, papà).I ricordi, maleodorano. La pioggia, puzza. Ma la carne no, se la carne non riesci a sopportarne le esalazioni significa che qualcosa non ha funzionato: Galeazzi Lisi aveva ordinato che il corpo di Pio XII venisse imbalsamato col suo rivoluzionario metodo fatto di cellophane e mistura d'erbe aromatiche, ma era un metodo scialbo, fallimentare, lo sapevano tutti, e mentre i facchini erano là che trasportavano papa Pacelli da Castel Gandolfo verso San Pietro si sente uno schiocco sordo, che suona definitivo come il triplice fischio dell'arbitro quando dice che a giocarsi la finale ci vanno gli altri, mica te. I gas putrefattivi avevano gonfiato il ventre e ancora e ancora finché questo non era esploso, squarciando il petto, profondendo miasmi orrendi tutt'attorno. E poi il setto nasale non stava più su, l'arcata dentale si era ritirata in un sorriso agghiacciante, l'hanno radiato da tutti gli ordini di tutti i medici, quel Galeazzi Lisi là
(c'è pure un cittòne)
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