11 settembre 2013

La puta que los parió a los Sigurró [3/3]



Una delle cose che ho più amato e odiato a un tempo, quanto laèsseroma ma con modalità tuttaffatto diverse, con slanci più gratificanti e meno struggenti, è stato un romanzo, Il Profumo di Suskind, norreno puranco lui. Ne ho odiato ledizione tremenda, impiastricciata dinchiostro e rilegata a fascicoli che ti si scioglievano tra le mani come il cuore di fronte a un bambino che piange di nostalgia, gelato sullasfalto destate, gusto Fabrizio. Ma lho anche amato come si ama a quindici anni, con lacrime e violoncelli e squarci di sinapsi e di ventricoli. Quegli stessi zenit emozionali c’è da provarli per Jònsi mentre singulta Vaka, zampillare lavico di gorgheggi e falsetti che se ti posano sulle spalle ti nasce dentro la voglia di limone ma mica così per dire, di limone forte, di quello del tipo Baciamoci In Bocca Ora Senza Se E Senza Ma.  Lamico rioplatense mi fa un cenno, guarda i vicini di posto, guarda le loro lingue come si contorcono su  scenografia di boschi candele ed eruzioni di vulcano, non credi anche tu non ci sia niente di più bello dellamore, dellamore quando non si disperde in rivoli, quando non sinterrompe brusco? - ma per le lingue è già tempo di sgrovigliarsi, amò questa fammaa sentì però, per labbraccio di slegarsi con uno schiocco come di temporale improvviso, tuono che squarcia le nubi sulla sincope tambùrica dellattacco di Isjaki, prodromica di chissà quale deflagrazione di conflitto, dichiarazione bellica, sirena che anticipa i bombardamenti, inizio della fine, che peccato questo crollo dintimità, però, che peccato quando lessenza dellamore si dissolve, scemando nellacredine del sudore.
Ci sarebbe da parlarne con qualcuno, quanto suoni bene Jònsi-Baptiste Grenouille


[jònsichi?]


Sgomento è una parola-albero dalle radici infette, essiccate, affondate nella terra brulla del timore, della paura, staglia la sua sagoma minacciosa su cieli pregni di tenebrosa nuvolosità. Indelicata è letimologia, indelicata e ingenerosa, perché dovremmo poterla appiccicare sul carico sporgente dunespressione - la parola sgomento - anche meno arcigna, meno incattivita, come quella dipinta sul volto del mio amico del Sud del Mondo se gli chiedo di farmi luce, che c’è da scrivere, qui, c’è da puntellare i lembi della tenda con la quale sto campeggiando nei pascoli fertili della serendipità. Com’è che si chiama questa? Olsen Olsen. Come le Olsen Twins, matupènsa. Che vallata fertile, quella di Serendipità.
Una volta, cercando vai a sapere cosa sulla internez, mi sono imbattuto in una foto delle Gemelle Olsen immortalate, con quella loro espressione tutta Dreams Are My Reality, a un party molto sbarazzino; sulle spalle nude portavano un paio di ali da angelo a Olsen, e negli occhi la testimonianza dappartenere a tuttaltra genia rispetto a quella cherubina. Lembi di nastro isolante nascondevano i capezzoli al centro dei seni sodi, e come merano risuonate forte nei timpani le trombe del paradiso, a vedere quella foto, in memoria della quale non avrei mai smesso di cercare, in ogni donna che ho incontrato, quegli stessi sguardi Piffero Magico, inconsapevoli e letali.
In chiusura di Olsen Olsen ci sono voci sussurrate, di folla che non capisce, che non può né forse vuole capire: sono le voci del popolo medievale di fronte allinaugurazione della nuova cattedrale, assiepati nella navata centrale, intimoriti dai suoni cupi che rimbombano nel catino absidale, dalla predica sacerdotale alla quale altro non sanno opporre se non quella naiveté di chi vive incurante della divinità librata a diecimila spanne sopra la propria testa, incapace di  - e in quanto riconosciutamente tale, disinteressata a - capire, e che purtuttavia vuole esserci, vuole vedere, vuole compartecipare. La stessa ragion dessere delle Gemelle Olsen a un party hollywoodiano.
Se fermamo qua o annamo avanti?, qualcuno curlicchia dietro tutto scodinzolante.

 [quello sguardo delle OT era sempre ad Halloween, ma di qualche anno dopo]

Hrafntinna e Popplagid hanno il suono che deve avere, semmai avesse un suono, un angolo concavo. Varùd, invece, e Kveikur, stridono come striderebbe, producesse un rumore scivolando ad incastro, un angolo convesso. Da questo punto del concerto, e di lì fino alla fine, pensamenti mistici mi portano ad avvertirmi tuttuno con - e tuttaltro rispetto a - lAmico Sudamericano, la moltitudine degli spettatori di Capannelle, la vastità dellumanità tutta, nellaccogliente grembo della quale mi sento enormissimamente piccino picciò.
Lacustica è pessima, i suoni si confondono al brusio, lasciatemi sentire, voglio una placenta nella quale introgolarmi, la voglio adessissimo, voglio assommarmi ai battiti dellevoluzione, smirciare i riverberi, i riverberi e nientaltro, non voglio vedere, voglio intuire; serro gli occhi, e mentre monta il refrain familiare di Hoppipolla dilato le narici, lasciandomi invadere dagleffluvi di fango umido e paglia bagnata, molte scintille, molto geyser, la scimmia al circo che mi abbraccia col suo braccio peloso e mi porta alla bocca la cannuccia di un succo di frutta in una foto di bambino, e poi il profumo di mia madre quando veniva a prendermi la domenica mattina dopo una notte trascorsa da solo, in una camera odorosa di borotalco nella casa umida di mia nonna; Hoppipolla e soggiungono sentori di capodanno di stelle filanti, schiene abbronzate a fine estate sotto le agavi, Chiara mia moglie sorridente con labito da sposa subito dopo aver tagliato la torta di nozze che tuttintorno è iridescente sfavillio di zolfo e lacrime, Hoppipolla mio padre quando gli occhi gli cantano ch’è ancora tutto possibile nella penultima giornata del campionato di calcio 2009-2010, Hoppipolla Lapo Cronopio il cane mio se mi si acciambella sulle gambe davanti a un film di Lars Von Trier, Hoppipolla come il verso dun Dio sordomuto, Hoppipolla e tutti i dubbi, le reticenze, i pregiudizi mi crollano ai piedi con un rumore di cocci infranti. Un miracolo di commozione e intimità deflorata e rigenerata immantinente: ci pensavi - lo sapevi? - potesse essere questo, la musica dei Sigurrò?
Hoppipolla sai cos’è? Il suono che fa una bolla di sapone, concepita in un privatissimo bacio di labbra al bastoncino, quando esplode in cento rivoli di ecumenico divertimento bambino sui fili derba del prato giardino.

Qualche giorno dopo il concerto, Fabio Viola ha scritto che quando la galassia di Andromeda si scontrerà con la Via Lattea, nelluniverso risuonerà questo pezzo per alcuni miliardi di anni, come accompagnamento musicale dellevento.
Il pezzo era Brenninstein.
A me è venuto da pensare che, piuttosto, quando la Via Lattea e la galassia dAndromeda udiranno quel pezzo risuonare inizieranno a limonare forte, e de repente nojaltri comuni mortali dimenticheremo cosa siano mai stati gli scontri, gli scontrini, la scontrosità.
Mi chiedevo, a spettacolo appena finito, se siamo davvero pronti, per tutta questa poesia, per tutto questo bene, per tutta questa perfezione imperfettibile.
Poi un volo Ryanair diretto a Ciampino, in arrivo vai a capire da dove, di certo non da Reykijavik, forse da Marrakech, ha tagliato trasversalmente lorsa maggiore, affacciata sopra il palco ormai buio, insolitamente brillante, portandosi via con sé tutta la magia.


[fine. Ah, il mio amico argentino si chiama Maximiliano Chimuris]

Nessun commento: