Della sola e unica volta in cui le parole tra Dario Falconi e me si sono fatte spigolose, ruvide, ricordo ch'era un giorno come questo, pieno di bochorno e vento e nervi; eravam tutti presi dal concepimento di questa collana che avrebbe accolto i nostri nuovi libri, e altri, leggevamo e arcileggevamo manoscritti come se il mondo avesse a che finire l'indomani. Avevamo deciso di nomarla, la collana, insieme all'editore, BrainGNU. Ci piaceva il suono della parola, il gioco, l'animalità piena d'afrore africano, la sua pacifica riottosità. Ne siamo andati a parlare a Liberi sulla Carta perché il direttore artistico ne aveva assaporato l'idea e ne aveva scorto il potenziale, forse; l'abbiamo farcita di Patagonìa e Katacrash, ne abbiamo difeso strenuamente la ragion d'essere e l'ideale di partenza, ovvero quello di farne una collana preziosa e premiante per chi ci scriveva e per il lettore,
deflagrazioni emotive, naufragi letterari, derive metropolitane. Scalpitìo di zoccoli nella savana. Tutùm, tutùm. paradosso e mutevolezza
tutta piena di libri il più possibile belli, il più possibile "nuovi", per certi versi, graficamente accattivanti e frutto di una costante ricerca, tematica e linguistica.
Libri coraggiosi, perché eravamo convinti che così - ma era la nostra visione del mondo, magari ci sbagliavamo - che avrebbe dovuto funzionare l'editoria tutta.
Una cosa è certa, c'eravamo detti poi. Anzi, prima di tutto.
Nessuno dovrà mai pagare per pubblicare in BrainGNU. In nessuna forma. Mai. Nessun contributo per la lettura, nessun obolo per la correzione di bozze, niente di niente. Crederci è crederci per davvero, o non è.
E scegliere cosa pubblicare, poi: non è questione di aspettare che ti piovano addosso quintalate di sinossi e ombelicalità. Bisogna cercarseli, gli autori, farseli amici, capire cos'è che stanno scrivendo - così fanno gli gnu prima d'accoppiarsi, si fiutano - e se quel qualcosa può piacerci oppure no.
Non schivare, ma scavare.
Abbiamo ascoltato voci discordanti, accolto critiche e ci siam fatti coraggio anche quando c'era ben poco di cui sentirsi incoraggiati. Abbiamo stretto rapporti con librerie fiduciarie, una per regione almeno, certi che il peer-to-peer fosse la strada da percorrere per conoscere i librai, farci conoscere dai librai.
Abbiamo editato, divulgato e portato in giro - insieme alle tante persone che trovavano nel progetto il combustibile primo e solo - i libri di Lorenzo Di Matteo e Valentina Grotta.
E poi?
Poi è successo qualcosa, qualcosa in virtù del quale il meccanismo s'è incrinato - come sarebbe a dire incrinato? era un rapporto di lavoro e si è interrotto, il vostro? no, non era un rapporto di lavoro, era una collaborazione amichevole, sai di quelle ròbe che si fanno quando ci si vuole bene? -, ecco, ci si è voluti un po' meno bene, dopotutto solo la morte è per sempre, le carte in tavola cambiano e i rapporti tra le persone pure, e in buona sostanza questo è quello che è successo. BrainGNU ha continuato per la sua strada, io per la mia. La separazione, ufficiale, è avvenuta quando di comune accordo con l'editore abbiamo deciso di togliere Katacrash dal catalogo. Forse era iniziata già da un pezzo, tant'è.
Ieri ho letto sul giornale questa notizia, questa notizia dell'istituzione del premio letterario braingnu per opere inedite, per partecipare al quale occorre versare una quota di quindici euro, e no, se vuoi saperlo non m'è venuto di stilare nessun giudizio, lo sai da te com'è che la penso sui Premi Letterari, quelli con le majuscole, cioè che dovrebbero premiare gli autori, mica gli editori, e poi le carte in tavola cambiano e i rapporti tra le persone pure, vedi che non è poi così difficile abituarsi, ti meriti un premio, un premio ti meriti.
Non è livore, direi più una madalaine irrancidita che m'è sopraggiunta.
E ho pensato a quando ci dicevamo Scavare, non schivare.
E poi a quelle parole-tutto-spigolo con Dario Falconi - perdoniamocele che non ne valeva la pena - quel giorno ch'era un giorno come oggi, pieno di vento e nervi e bochorno.
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