03 luglio 2010

Siete pazzi, voialtri, da Panenka in giù, che somigliate a certi Beatles ma anche no.

E' il millenovecentosettantasei, sei una mezzaspecie di Ringo Starr ma con la faccia più da ragioniere, giochi al calcio con i Bohemians di Praga e ti chiami Antonìn Panenka.
Sei una mezzasorta di centrocampista, o forse un'agile punta, anzi no: un terzino sinistro, o destro, di certo non il portiere, non sei un cancerbero ceco, ecco, nessuno si ricorda più in che ruolo giocavi, però eri uno dei titolari della Repubblica Socialista Cecoslovacca che in piena cortina di ferro si va a giocare, in Jugoslavia e perciò un po' in casa, diciamocelo, la finale del torneo contro la Germania dell'Ovest.
Tutti si ricordano di te per come calciasti l'ultimo rigore, quello che dopo sessant'anni dall'ultima finale in un torneo calcistico internazionale, era il millenovecentotrentaquattro e soccombevi sotto i colpi virili della fassista Italia, piazza un trofeo nelle cecoslovacche bacheche: il colpo alla Panenka.
Il cucchiaio.
Lo scavino.
Il colpo sotto.
Lo scavetto.
La palombella.
Il colpo alla Panenka.

Devi essere proprio un pazzo, uno scellerato, per calciare l'ultimo rigore dell'ultima sfida, quello decisivo, come facesti tu: con uno scavino.
Ci pensi a cosa sarebbe successo se Sepp Maier t'avesse bloccato quel tiro, irridendoti per giunta?
Ci pensi che non sarebbe stato come con Hruska, quello che faceva il portiere coi Bohemians ed aveva una famosa accademia, l'accademia degli Hruska, che simpaticone sei, Antonìn, ora ridi, ridi pure, Hruska che gli pagavi una birra e via, ci pensi se Maier t'avesse parato quel rigore?
Dici che Husàk non t'avrebbe dato in pasto agl'aguzzini della STB?
Un pazzo, sei, Panenka.

E' il duemiladieci, la Cecoslovacchia non esiste più, la prima metà ai mondiali africani non s'è qualificata, la seconda ha fatto fuori quel grumo senile d'azzurro opaco che si vantava d'essere campione in carica, tu sei una mezzaspecie di George Harrison ma con la faccia più da indio, giochi al calcio con il Botafogo di Rio de Janeiro e ti chiami Washington Sebastian Abreu Gallo, detto el loco (no, non el locomotora, el loco punt'ebbasta).
Sei una mezzasorta di centravanti, o forse un'agile mezzapunta, anzi no: un trequartista, di certo non un portiere, non sei un cancerbero uruguagio, neppure Muslera lo è, dopotutto, ed ecco, nessuno si ricorda più tutte le squadre in cui hai militato, si perde facile il segno, con te, ora sei in Spagna poi in Brasile e adesso? adesso no, in Uruguay, anzi in Messico, poi gerosolimitano per una settimanata, e greco, e uruguagio, e brasileiro, hai visto Abreu? povero Abreu!, e tutto ciononostante sei uno di quelli che con la Celeste, sotto l'incessante incitamento delle vuvuzela, si gioca l'accesso alle semifinali contro le cosce d'ebano del Ghana.
Tutti si ricorderanno di te mica per le strabilianti giocate col Beitar, mica per le capocciate date col Cruz Azul, ma per come calciasti l'ultimo rigore, quello che dopo quarant'anni ti riportava alle semifinali in un torneo calcistico internazionale: il colpo alla Panenka.
Il cucchiaio.
Il colpo sotto.
Lo scavino.
La palombella.
Il colpo alla Panenka.
Che non prenderà mai il nome di colpo alla Abreu.
Nemmeno se sei pazzo, il più pazzo di tutti, el loco, ma mica el locomotora: el loco, punt'ebbasta.

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