Più e più ne hanno decantato la solitudine, anche se non è un numero primo: è meglio, è di più: è il primo numero.
Numero uno, come il té Lipton, l'Estremo Difensore, quello che (lo dice Eduardo Galeano, e c'è da fidarsi) donde él pisa, nunca más crece el césped, dove pissa lui l'erbetta cresce mica più.
Il portiere, tra gl'undici d'una squadra di calcio, è quello che lo riconosci subito per la maglia d'un colore diverso. E' l'unico che può agguantare la sfera di cuoio con le mani. E porta i guanti anche d'estate. Tipino particolare.
In inglese, il portiere è il goalkeeper. Mantiene (inviolata) la porta.
Così come il peacekeeper mantiene (inviolate) le ostilità, la housekeeper mantiene (inviolate) le stanze d'albergo, allo stesso modo al goalkeeper si chiede di tuffarsi sull'erbetta, possibilmente non dove prima s'era pissato, che sennò sai che schifo, e niente, far sì che la rete non si gonfi. Mantenerla inviolata.
Gl'ispagnoli, lo si sa, son più creativi: tu chiamalo se vuoi portero, guardameta: colui che mantiene (inviolata) la meta, oppure guardavallas: colui che mantiene (inviolate, sempre) le mura, come se la porta poi fosse un fortino.
Dentro le mura ci trovi sempre un portiere, specie se quelle mura sono d'un edificio la cui destinazione d'uso inizia per acca, acca come hotel, tipo un hotel, tipo.
Il portiere d'hotel non indossa i guanti, però le Clark's certe volte sì, infatti in inglese come lo chiamano? Clerk. Un clerk con le Clark's. Cheròba.
E poi a volte la reception è sormontata da un arco, allora arquero potrebbe starci pure. L'arquero è il portiere della squadra di calcio, sempre in ispagnolo, soprattutto in America del Sur. Lo chiamano così perché quando a Cambridge si giocavano i rudimenti fetali d'un giuoco chiamato football, le porte le ricavavano dalle arcate dei portici dell'università.
Matupènsa.
Ed in buona sostanza, per concludere, c'è un termine, un termine bellèrrimo che utilizzano sempre gl'ispagnoli, per definire il portiere: cancerbero.
Cerbero chi era lo sai anche tu, brutto cagnaccio rognoso con tre capocce, non una, e ti fa immaginare il numero uno d'una qualsiasi compagine sudamericana o hispanohablante con tre teste, sei occhi, tre nasi, tre bocche che sbraitano ordini alla linea difensiva, ti piacerebbe essere un goleador a tre passi dalla rete della vittoria, se davanti avessi un cancerbero con le bave alla bocca? Mh, a me no.
A memoria d'uomo non si ricorda alcun portiere a tre teste, uno e trino: però c'è Tim Howard, il portiere degli Stati Uniti, che soffre della sindrome di Tourette. Questa patologia, che poi non è una patologia vera e propria ma piuttosto un quadro comportamentale, dicon su Uichipedìa, si manifesta con movimenti involontari del corpo o della faccia, e con tic di tipo vocale o verbale che possono variare dalla ripetizione di una parola fino all'incoercibile pulsione a proferire espressioni o parole imbarazzanti o volgari.
Howard è come se avesse tre teste, allora, una che s'allunga verso l'altra, la terza gira su sé stessa, ed alle volte ad una scappa di dire cazzo ci fan gol, all'altra merda non lasciamoli passare, e l'ultima redarguisce le precedenti, statevi zitte statevi zitte, statevi zitte, statevi zitte, bau, bau, bau, bau.
I cani, specie quelli a tre teste, i portieri d'albergo li trattan sempre male: accettiamo solo cani di piccola taglia, ti dicono.
Cerberi decerberizzanti, li diresti.
Dei gran guastafeste, in extrema ratio.
Un po' come il portiere quando blocca un pallone che sembrava destinato al fondo del sacco.
Qué aguafiestas!, ululano gl'ispagnoli. Che guastafeste.
Ed il fatto che per guastar una festa la si annacqui, secondo me, merita un quadernino di traduzione tutto per sé.
1 commento:
Mi sa che finisce tra i palloni gonfiati ;)
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