A èssèsse tante cose devi mica permettergliele, tipo bloccarti mentre torni dalle spiagge, oppure ipnotizzarti con certi smalti fluo, tinegerialmente vistosi.
Come mettere le mentine nella coca, ascoltare i dettagliati rendiconti di èssèsse.
Oppure, la coca nelle mentine.
Estrae conigli dal cilindro, ogni parola è un palindromo o ha una rima interna o un doppio senso, ed è tutto talmente surreale che non ti resta che zittirti, starla ad ascoltare e solo infine congedarti rimandando il resto ad un caffettino, o ròbe del genere.
Sembra che insomma, in buona sostanza, èssèsse se ne fosse in uno di quei posti coi nomi che senti al cinema (te lo racconta muovendo la testa sulle spalle come le sorelle di Haarlem), ed accettasse di buon grado tè caldi da sbevicchiare in salotti vistosamente retrò.
Niente di sconvolgente, apparentemente, se non fosse che poi quel tè comincia a farti sudare, ha un sapore strano e gl'effetti sono almeno attrettanto stupefacenti.
Mi ricorda nonnarenàta, che chiamavo nonna pure se non era madre né a mio padre né a mia madre né a nessun parente stretto, quando mise nei bicchieri della nutella ma senza nutella un corroborante tè freddo opalescente all'occhio, farinoso al naso e decisamente patatoso al palato, che scoprìssi poi esser Granpuré all'uopo spacciato per tè istantaneo Tassoni.
Alla fine niente, non era tè, quello di nonnarenàta, ma nemmeno quello ch'avevano offerto a èssèsse, che sudava freddo ed aveva le palpitazioni, proprio così ti dice, avevo le palpitazioni, sai, soffro di tachicardia, e quello ennò che non era tè.
Era mate alla coca.
Che lo so mica, poi, se in quei posti coi nomi che senti al cinema il mate di coca è legale, perché i matrimoni gài sì, la marijuana come antidolorifico sì, il gioco d'azzardo ed il surf libero pure, ed organizzare festoni reggae in locali per vecchine appassionate del mambo pure, ma il mate di coca son mica troppo sicuro, io.
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