09 settembre 2010

Quadernini di traduzione: Su Rayuela*, di Julio Cortázar

Tra la mia propria visione di Rayuela e quella della maggior parte dei suoi lettori (intendendo per maggior parte i giovani, molto più sensibili a quel libro della gente dell'età mia) c'è un curioso incrocio di prospettive. "Triste, solitario e finale", come dice Raymond Soriano, scrissi Rayuela per me, vale a dire per un uomo di più di quarant'anni, e per il mio contesto - altri uomini e donne di più di quarant'anni. Subito dopo, quello stesso individuo emerse da un mondo ostinatamente metafisico ed estetico, e senza rinnegarlo entrò in un viaggio di partecipazione storica, di appoggio ad altre forze che cercavano e cercano tuttora la liberazione dell'America Latina. Per tutto un decennio, problemi considerati capitali in Rayuela passarono ad essere per me alcuni dei nuovi componenti della problematica dell'"uomo nuovo": la prova, credo, sta nel Libro de Manuel [1973, mai pubblicato, ohlalà, in Italia, NdT].
Così, nella mia visione personale della realtà, Rayuela continua ad essere una prima parte di qualcosa che ho cercato e cerco ancora di completare: una prima parte molto amata, sicuramente la più profonda del mio essere, ma che ancora non accetto con l'esclusività che gli conferivano i personaggi del libro, affondati in ricerche in cui l'egoismo di tanta introspezione e metafisica era la sola bussola.

Ma poi, sorpresa: in quei dieci anni di cui parlo Rayuela è stato letto da un numero inestimabile di giovani in tutto il mondo, molti dei quali erano già impegnati in quella lotta che io ho sposato solo all'ultimo. E mentre i "vecchi", i lettori logici di quel libro sceglievano di starsene ai margini, i giovani e Rayuela hanno dato vita ad una specie di combattimento amoroso, una pugna amara, fraterna e rancorosa al tempo stesso, facendo un altro libro di quel libro, che non gli era stato coscientemente destinato.

Dieci anni dopo, mentre io mi distanzio poco a poco da Rayuela, un'infinità di ragazzi apparentemente chiamati a starsene lontani, da quel libro, avvicinano il gessetto alle loro caselle e lanciano il sassolino verso il cielo. Quel cielo, ed è questo ciò che ci unisce, loro ed io lo chiamiamo rivoluzione.

[*da La nueva literatura, a cura di Alberto Mario Perrone, Buenos Aires, Centro Editor de América Latina, 1974, trad. it. mia]
[**per chi non lo sapesse, la Rayuela è la campana]

2 commenti:

Manu ha detto...

Ciao, a quanto ne so, Rayuela in realtà non è la campana - come scrivete in nota - ma il gioco del mondo, quello che si fa da bambini disegnando a terra uno schema su cui si tira un sasso e si salta. Infatti in Italia il titolo di questo libro è "Il gioco del mondo".

Fabrizio Gabrielli ha detto...

http://it.wikipedia.org/wiki/Campana_(gioco)

Campana, aka Mondo, riga, o anche settimana.

Certo, il nome "Gioco del mondo" è più evocativo e pregnante.

Ma sempre di campana si tratta.

Dlèn.