26 luglio 2015

Scusa il ritardo [Molte gite, molte palme, molto amore: reprise, and so on, encore]


E così molto sole, molta gita, molte palme, molta Benalmàdena: quella sarebbe la figlia della prof. Non penserai mica. Tu lascia fare: giochi a biliardo?, giochiamo a biliardo. Balli?, balliamo; tornare e cuoricini scarabocchiati sul banco e poi maddai, farei-questa-festa-mi-piacerebbe-che-venissi: non solo vengo, ma resto, vado via per ultimo e ti bacio; non ora, dài, non qui: domani. Come non ci fosse un domani. Non è una ròba seria te lo dico da subito, due mesi, cinque mesi, un anno, ma insomma stiamo ancora uscendo insieme o siamo fidanzati?, che differenza fa. I messaggi con su scritto tsat: che significa tsat? Ti sto amando tanto. Ah, quindi ti amo tanto. No: ti sto amando tanto, senza definitività eternizzante, un present continous: ora sì, ora sì, dopo: non lo so. Io che perdo la testa, le cicatrici sulla testa e nel cuore, Parigi e che bella Parigi, Londra e che storia Londra, Istambulla e che figa Istambulla, le cose, i giri per i libri, le padelle nel monolocaleincentro e le comparsate sulle riviste superfighe, insieme, i libri letti prima d'addormentarsi, io lo leggo a te e tu lo leggi a me, quanto t'ho sentita mia quando prima di un esame mi chiedevi di provarti a interrogare, e poi finita la sessione andare al mare, guardarsi forte, volevo dirti una cosa, mica starai a inginocchiarti, e tu mica starai a piangere, facciamo che io non m'inginocchio e tu non piangi, insomma ci si sposa, noialtri? 
E te lo dico in ginocchio, mentre tu piangi.

E così, so long, molto sole, molti giri, molte palme, molti impicci: ma che davéro il weddinplennah? I fiori, i frutti, le città: Nuova Iòrche, prima di tutto, poi vediamo. I confetti alla torta di mele, il lago al tramonto, pioverà, ma no che non pioverà, e se invece sì?, e se invece no?. Infatti invece no. Gli amici i parenti i serpenti gli occhi tuoi di locusta: heaven, I'm in heaven e il tuo passo alla bersagliera, come si fa a non mordersi il labbro?, infatti me lo mordo, ma così vieni smorfioso in foto, e smorfie siano. In umbertièco abbiamo stabilito che ti amo un fottìo: sì? sì, sicuri?, sicuri, prendimi la mano e poi pigliati tutta la vita mia, che non posso proprio farci nulla se mi sono innamorato di te
Chelsea Market e Strawberry Fields, le rose le pose e le cose, i chilometri nel deserto, Frisco e che bella Frisco, Phoenix e che tristezza Phoenix, èllèi e che bella èllei, e lei: che bella è, lei?

E così molte tende, molti mobili da spolverare, molte coperte da sprimacciare, molto stringerci. Ci sarebbe questo trovatello, facciamo che lo chiamiamo Lapo?, facciamo che lo chiamiamo Lapo, ma Lapo Cronopio e poi Ippolito e poi Calisse e poi Tamarindo, e poi Underwood. Marrakech e che bella Marrakech, Parigi e che bella, di nuovo, Parigi, coi suoi locali vicino a Porte de Saint Martin e le scale di legno, potremmo fare chevogliamo fare che?, i condizionali che incondizionatamente ci si scondizionano senza condizionarci sulle labbra.
Elle ch'è L. prim'ancora d'essere Elle, ed è tutto quello che siamo e che saremo e che siamo stati capaci di fare insieme.

E così, poi, le telefonate su skype dall'ospedale: dài che è oggi, e non è oggi, dài che è domani, e non è domani. Ottobre, l'ottobrata romana, Elle che ci metti una i e una vu e una i e una a quando nasce, è il ventuno di ottobre e stai a vedere se non ce lo dimentichiamo, il ventisei di luglio, ma no che non ce lo dimentichiamo, come sarebbe a dire.
E così molte pappe, molti pannolini, molte parole da semplificare per renderle accessibili. 
Nuova Iorche e poi Kobenhavn e la montagna e le nottate insonni - insieme - se c'è una febbre, o da starci a guardare l'un l'altra prima che gli sguardi su catalizzino su di lei che dorme, anche se l'occhio mi sfugge sempre su di te, perché sei bella - e non c'è una parola diversa da usare, sei bella come le persone belle, quando guardi lei che dorme, hai la stessa espressione che ti vorrei trovare indosso svegliandomi, sorprendendoti a guardare me. Sono geloso? Può darsi.


Anche se Me ci si è ribaltato ed è diventato We, l'annullamento della percezione dell'individualità ci si è fuso in un amalgama, rimaniamo una somma: di Te, prima di tutto, e lei, e me, ma in ultimo. Siamo due puntini - ma visti da lontano - che hanno bisogno di rimanere uniti, per farsi base solida di un triangolo. 
Insegnare a Livija a parlare, a raccontarci il mondo, è la cosa più difficilissima che in questa parte di vita ci tocca di fare: ora è convinta che io si dica tu, le abbiamo sballato le referenze pronominali, eppure le abbiamo trasmesso (le ho trasmesso) una priorità imprescindibile: per essere io ho bisogno che ci sia tu, e che ci si compenetri, come nelle sere in cui lei finalmente dorme, e ci abbracciamo, e c'è da fare piano.

Saremmo dovuti uscire insieme, per la prima volta, il ventuno luglio del duemila.
Saremmo dovuti uscire insieme ma ti ho dato buca, ti ho avvisata con un sms di peperone, facciamo tra un paio di giorni, un appuntamento rimandato come se non fosse poi così importante, o urgente, come se fosse normale - o ragionevole - farti attendere. 
Quindici anni dopo c'è il rammarico di essermi perso cinque giorni di vita insieme, che sono un'infinitesimità, se ci pensi, anche se centoventi ore senza di te, starci, oggi, mi pare assurdo, inconcepibile, mi mancherebbe l'aria. 
Che ti devo dire: scusa il ritardo.
Ma fallo tu, che io non me lo scuso, questo ritardo.



09 luglio 2015

Quello che resta, nove anni dopo

Una mezzaluna al prosciutto e formaggio non potrebbe e non dovrebbe avere lo stesso sapore di una madelaine proustiana, ma se ripenso al mondiale di Germania del 2006 il souvenir organolettico che mi torna alla mente è quello: una piadina secca, il prosciutto bruciacchiato, un formaggio edamer scadente scaldati sulla piastra di un bar universitario, la sensazione empia che bastasse così poco per essere sollevato o, se assumiamo per credibile l’asset emozionale dell’epoca, felice. Il 4 Luglio, il giorno della semifinale contro i padroni di casa, ho dato il primo esame del mio corso di laurea specialistica, era un esame di storia contemporanea e mi era sembrato profetico dovermi trovare a parlare di nazismo e fascismo, di Italia e di Germania, senza dover per forza alludere, senza stare a spiegare perché l’Italia, perché la Germania, proprio quel giorno (l’esame andò bene ma sul libretto mi trovai verbalizzato solo un idoneo, era tipo un modulo propedeutico, ed è buffo come a due lustri di distanza quel mondo rarefatto e le parole che ne puntellano l’essenza assumano le fattezze di un’Arcadia da rimpiangere). 
Ricordo che durante gli inni ero ancora impegnato a cuocere salsicce su un barbecue straniero, e cercavo di infilare a tutti i costi nel discorso certe teorie di Emilio Gentile sul culto della personalità, prima che me le dimenticassi per sempre.

I mondiali di Corea e Giappone li ho seguiti mentre facevo il servizio civile in una Misericordia. Guidavo ambulanze e inscenavo riedizioni delle partite, prima e dopo, su una Playstation scalcagnata con quattro colleghi: sceglievo sempre il Senegal di El Hadji Diouf. Il gol di Ahn l’ho accolto bestemmiando, con quella che era la mia fidanzata, davanti a un maxischermo installato sopra l’acquario di un centro commerciale: mi ci ero preso pure un giorno di congedo, per incazzarmi. Il Mondiale del 2010 in Sudafrica, invece, l’ho vissuto praticamente per intero distante da quella che era ancora la mia fidanzata: ero in tour promozionale del mio primo libro importante, nei ritagli di tempo ho iniziato a scrivere pezzulli calcistici che sarebbero finiti, in una maniera o nell’altra, nel mio primo libroimportante di pallone. Due settimane dopo la finale, a proposito di cos’è davvero importante, a quella ragazza ho chiesto se le sembrasse il caso di, che ne so, come te lo chiedo, sposarci. All’epoca pensai che l’avessi fatto anche un po’ per farmi perdonare dell’assenza reiterata. Quella passata ma soprattutto quella futura.
Alla fine della fiera la Coppa del Mondo del 2006 è l’unica che ho vissuto indossando il completino ufficiale del cliché, come andrebbe gustato un mondiale, in case attrezzate coi ventilatori, con le bottiglie di cocacola e le patatine e i caroselli e tutto quanto. Con l’afflato naif del Ventenne-Che-Studia. Anche se poi già lavoravo (ricordo le partite contro il Ghana e l’Ucraina proiettate nello schermo quindici pollici del televisorino che avevamo comprato all’uopo, con una colletta tra colleghi, per piazzarlo in un angolo recondito della reception dell’hotel).

Per la finale del 9 Luglio il Comune di Civitavecchia aveva previsto un maxischermo in Piazza Regina Margherita, la storica piazza del mercato. Al centro di quella piazza c’è una palma altissima: quando avevo tre anni una foglia staccatasi con un refolo di vento è caduta a trenta centimetri di distanza dal mio passeggino, io ho rischiato di morire e a mia madre era toccato ricoverarla in stato di shock. 
I ricordi puramente calcistici di quella serata si sono cristallizzati a posteriori, dell’hic et nunc ricordo solo degli odori: il profumo acre del sudore del tipo che mi stava a fianco quando Zidane ha portato i francesi in vantaggio e lui si è sbracciato in maniera plateale, con una smorfia di delusione da anime giapponese (il gruppo di ragazzi con i quali ho visto tutte le partite quell’anno, amici del fidanzato di un’amica della mia ragazza, mi sembrava un gruppo di gente a posto, davvero, solo un po’caratteriale: poi ho scoperto che avevano dato un nome alla comitiva, ci avrei discusso per motivi discretamente futili e ci avrebbero convocato per dirimere la questione con ilnucleo del gruppo riunito in assemblea plenaria. Italia-Francia, io, l’ho vista con una costola di Scientology); il sapore di menta piperita del bacio che ho dato alla mia donna dopo il gol di Materazzi (che ho solo intuito dal 
boato).

I caroselli, la goliardia degli sfottò, una maglia azzurra e tre sbreghi verdebiancherrossi sulla guancia sinistra erano solo il pretesto per sbracarsi un po’ di più: nell’euforia alcolemica dei festeggiamenti ricordo essersi fatta strada con lucidità la sensazione che il mondo fosse un posto molto bello in cui vivere, nonostante quella serata così prevedibile, pieno di gente interessante, amici a posto, ma che soprattutto quella vittoria me la fossi meritata un po’ anche per me, che ero stato furbo a incastrare i turni così da trovarmi fuori dalla reception per la finale. E che avevo la ragazza più bella del mondo al mio fianco.
Oggi, se ripenso a nove anni fa, è l’unica intuizione della quale non mi vergogno. L’unica, davvero. 


08 marzo 2015

Nelle puntate precedenti

Il 20 Marzo sarò al Teatro del Lido di Ostia.
C'è che Terranullius mi ha invitato a partecipare alla loro rassegna, Il Territorio narrante, e io son molto felice di fare questo reading, accompagnato dai Parking Lots, che ho deciso di intitolare Mazzumaja (e di sottointitolare Autopsia della bella città d'incanto). La bella città d'incanto, savasandì, è Civitavecchia; inutile starvi qui a spiegare perché autopsia
Qua c'è una mezza anticipazione di quello che v'aspetta, se venite.

Per i tipi di Edizioni InContropiede è uscito questo libèllo, "Memorie dell'Europa calcistica", curato dal Mastrolilli di LdB: dentro ci son dei racconti sul pallone e l'Europa ai tempi dell'Erasmus, il mio parla di Belgio e scambi culturali. Non ricordo se il progetto al quale partecipavo, a quei tempi, fosse il Comenius o il Socrates, ma sarebbe bellissimo - e preveggente - se si fosse trattato del secondo.

Nel frattempo sono diventato vicedirettore de L'Ultimo Uomo, e sono molto orgoglioso di poter lavorare massivamente a un progetto così importante (sul quale, per dire, è uscita una delle ròbe di cui vado più fiero, il long-form su Suárez, ma che più in generale ospita i migliori articoli di calcio che vorrei leggere in giro per la internèz, e che fortunatamente son tutti su UU).
Peraltro il giorno in cui Daniele Manusia mi ha chiesto per la prima volta di collaborare con UU era il 21 Ottobre 2013, Daniele parlava e io ascoltavo e mia madre faceva cenno di tagliare la chiamata, che C. aveva appena rotto le acque e Livija stava per nascere, quando si dice il tempismo.
Credo sia un Momento Sentimento che valeva la pena di raccontare. 



28 dicembre 2014

Il ruggito del leone (vegetariano)

Il prossimo 7 Febbraio il Nuevo Estadio de Malabo, Guinea Equatoriale, sarà il palcoscenico della finale per il terzo posto della Coppa d'Africa per Nazioni.
Il giorno successivo ci sarà la finalissima, i fuochi d'artificio, i tamburi e i vestimenti tipici, e già dal lunedì riprenderà quel tran-tran fatto di allenamenti, competizioni nazionali, coppe per squadre di club.

Il 13 Febbraio, al Nuevo Estadio de Malabo, in una gara valida per i turni preliminari della CAF Confederation Cup, una specie di Europa League ma africana, scenderanno in campo i terzi classificati del campionato nigeriano 2014, i Dolphins, e i vincitori della coppa nazionale equatoguineana, tutt'un gran giro di parole per arrivare a dire che questi ultimi si chiamano Vegetarianos CF, e no, non è uno scherzo, anche se potrebbe sembrarlo, ancor di più dato che l'esatta denominazione è Leones Vegetarianos CF; un po' una contraddizione in termini, c'è da dire.



I Vegetarianos sono stati fondati da uno spagnolo di Granada, Juan Manuel Rojas, nel 2001. Rojas, un sessantenne dall'aria asciutta, faceva il controllore di volo e aveva la passione del balompié e del vegetarianesimo. Voleva diventare allenatore, ha frequentato il corso insieme a Vicente Del Bosque, ma non voleva farlo a livello professionale. Nel 1997 con i fondi della sua associazione, la Fundación Vegetariana P.R.P. (Pozo Rojas Padilla, dal nome dei tre soci), ha acquistato dei terreni in India, fondato una scuola calcio con l'intento di fare di un gruppo di vegetariani indiani la new generation del football del subcontinente (qua una foto in cui portano tutti una palla incollata sulla testa), anche se  non è stato facile difendere le sue proprietà dagli interessi di investitori edili e istituzioni governative indiane. Nel 2006 ha inscenato uno sciopero della fame nella città sacra di Pushkar, dove tutti sono vegetariani e l'assunzione di alcol è proibita, per ottenere una risposta, un'autorizzazione, che però non è mai arrivata. Neppure sventolare il faccione di Del Bosque come vessillo ha funzionato.

Per questo Rojas ha deciso di provare a coronare il suo progetto in Guinea Equatoriale
Ai giovani equatoguineani, per fare ingresso nelle file del club, viene chiesta vocazione spirito di sacrificio e obbedienza. Immagino anche che debbano abbracciare il vegetarianesimo. In cambio si promettono "tecniche nuove e sconosciute agli attuali allenatori". 

A quanto pare oggi la P.R.P. ha spostato baracca e burattini in Argentina.
Sembra molto invecchiato, da qualche parte ho letto che è malato di Parkinson.
Però è ancora pieno di livore e amarezza per come sia andata a finire in India.
E quindi ruggisce, come un leone. 
Vegetariano, s'intende.


25 novembre 2014

@ PLPL

Riflettevo sul fatto che a Più Libri Più Liberi, poi, non sono mai intervenuto. Ci sono andato quasi tutti gli anni, da visitatore, per incontri di lavoro o semplici revivalz, ma intervenire: ecco, intervenire mai.
Cerco di mettermi in paro quest'anno con due-dico-due-ebbene-due appuntamenti, uno il 5 e l'altro l'8 Dicembre.
Se ci fosse un terzo incontro pubblico con mia moglie e Livija potrei ben dire che a PLPL avrei coperto tutti gli amori della mia vita.

Il 5, con Daniele Manusia, facciamo questa ròba qua (sì, parliamo ancora di Sforbiciate):











L'8, invece, e per questo devo ringraziare i ragàssi di SUR, sarò la C dell'ABC della letteratura latinoameicana (e la A è Matteo Nucci, e la B è Nicola Lagioia):

12 novembre 2014

From Grugliasco to Baires, with love

Diciamo che sarà una metà-di-novembre decisamente movimentata.
 
Sabato prossimo sarò nella banlieu torinese, a Grugliasco, al Casseta Popular, insieme a un tot di gente figa a parlare delle ròbe di pallone e cuori e inconfessabilità. Il festival si chiama Il cuore dentro alle scarpe, ha un programma abbastanza imperdibile e niente, Torino, Milano, Brianza, Savoia, se vi va possiam darci delle sonore pacche sulle spalle in quel di Grugliasco, sabato sera.
 
Martedì, invece, sarò a Casa Argentina per REP, il rap, quelle ròbe che ci siam già detti.
 
Ho aggiornato la lista degli appuntamenti prossimi, mi sento già meno in colpa.
(E anche quella delle ultime uscite in libreria)



21 ottobre 2014

Puoi mica saperlo, da un ventun ottobre all'altro

Puoi mica saperlo, tu, che il mondo per imploderti sotto le scarpe non ha bisogno di una data che finisca per 99. Uno scatto di lancetta e l'universo per come hai imparato a conoscerlo svanisce, è fin troppo semplice e può succedere (spesso succede) quando gli pare a lui, non serve l'epica, non serve l'epocalità: per esempio, alle 17.14 di un giorno d'Ottobre, il 21, in cui fa caldo, troppo caldo per essere Ottobre, e per essere il 21.
Certo, da qualche giorno avevi come l'impressione che tutto intorno stesse per cederti, il fiume per rompere gli argini ed esondare per riversartisi addosso. Te lo avevano detto, ma per sentito dire si manda la gente in galera, che c'entra. E ci sono le attese disattese, i conti alla rovescia rovesciati, e adesso?, non ancora, sì ma adesso?, no stellina, ci vuole il tempo che ci vuole. Puoi mica saperlo che passerai notti a non dormire in hotel vicini nella speranza (la paura?) che accada e accada presto, hai messo in preallarme ognuno che conosci tranne te stesso, perché conoscerlo, il te stesso che stai per conoscere, lo conosci mica, ancora. 
E poi sono le 17.14, un'ora prima hai indossato un camice e delle babucce, una mascherina e una faccia tesa come se rientrasse pure quella, nel kit. Hai visto lo strazio che è un segnale della fine del mondo, la tenacia dirompente della leonessa che digrigna i denti nell'ultimo gesto prima della docilità, e hai sentito quel suono che è stato un acuto di quelli che rompono i bicchieri di cristallo: ciao prima, facciamo che raccogli i cristalli e ti prepari a stringere la mano a un qualcosa che è già dopo
Puoi mica saperlo che in un faccino possano convivere l'espressione di tua nonna quando preparava le lasagne la domenica mattina, concentrata ai limiti del risentimento; gli occhi di tua moglie quando prima d'essere la tua fidanzata era la ragazza che stavi per baciare su uno scoglio di novembre; tua madre in una foto con una piega nel centro che corre in bicicletta, e poi l'immagine che hai di te ogni mattina, quando ti guardi allo specchio.
Puoi mica saperlo che cambiare un pannolino non è complicato, stringi le caviglie a tenaglia e solleva il bacino, sfila appallottola distendi richiudi, che sia indetta la distruzione delle istruzioni non dette.
Puoi mica saperlo che una linea di febbre è la breaking new di un nuovo conflitto mondiale: l'apprensione ti stringe lo stomaco e ti fa fare di malavoglia quel che sei costretto a fare, o non fare (sempre a malavoglia) quel viaggio che avevi proprio desiderio (necessità?) di ritagliarti; una linea di febbre, e adesso?, ancora, e adesso?, stellina, ci vuole il tempo che ci vuole.
Puoi mica saperlo che quando spunta un dente, scatti una fotografia di piedini sull'erba di Central Park, ascolti la risata del divertimento che non ha bisogno di nulla dalla stanza accanto, metti una canzone a suonare fortissima e ballate insieme, oppure sotto la doccia con la manina ti insapona un ginocchio, ti stai preparando a non esser pronto al distacco. Mai più. Puoi mica saperlo che sei fregato. Quando ti scivola dalle braccia verso altre braccia, e mette il broncetto e scoppia a piangere e tu devi proprio scappare, il cuore ha come uno sfrigolìo di frigorifero vecchio, prima che si rompa. 
Puoi mica saperlo, da un ventuno ottobre all'altro, cosa può succedere.
Avrai l'impressione di essere l'unico ad aver scoperto che di un amore così vero, un amore così raro, si può morire. Non è vero, ma è una convinzione tua. E tanto ti basta.   

Auguri Livia, luce dei miei occhi.