04 gennaio 2009

I problematici risvolti pratici dell'assegnazione delle maglie di giuoco

Dario Falconi, autore di Utopsia - Riesumazione dell'umana azione, che vi consiglio caldamente se siete cultori della davar, della parola che si fa creazione viva e palpitante, di certe atmosfere escheriane e delle caustiche grouchomarxàte, mi fa notare in mail che "Magari come scrittori saremo pure velleitari ma nella nazionale scrittori brilleremmo alla grande" [e in Utopsia, e ne L'Inafferrabile Weltanschauung del pesce rosso, di calcio ce n'è a bizzeffe, colpa di Osvaldo Soriano, di Eduardo Galeano, di Nick Hornby e di tutti quelli che hanno scelto di farsi ispirare dalla poesia di un rimbalzo anomalo del pallone sui piedi del centravanti].
Io, che sono passato con nonscialanza dal ruolo di stopper all'assunzione di popper [con gli stessi stupefacenti risultati - stupefacentemente pessimi, ovvio], ho il fiato corto ed anche sulla pleistescion non ho i piedi molto buoni.
Però ecco, se ritagliarmi uno spazio al fianco di Lucarelli (Carlo, non Cristiano) fosse propedeutico ad una lovestory con Belen Rodriguez, sarei anche pronto al sacrificio, son pronto alla morte, l'Italia chiamò.
E mi piacerebbe avere come compagno di reparto anche Paolo Giordano.
Se non fosse che assegnargli un numero di maglia consono sarebbe alquanto difficile.
Per non farlo sentire solo, infatti, dovremmo accuratamente evitare di vergargli sulle spalle i numeri 2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, 19, 23, 29, 31, 37, 41, 43, 47, 53, 59, 61, 67, 71, 73, 79, 83, 89, 97, 101.

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