17 settembre 2010

Quadernini di traduzione: Lucas, le sue esperienze cabalistiche* (di Julio Cortázar)


È tutta colpa di quell'amico che ogni dieci parole si ferma di botto e studia ciò che ha detto Lucas e comincia a rigirare le parole e le frasi come fossero guanti, occupazione ripugnante per Lucas, ma che vuoi farci se l'altro lì per lì estrae ròbe come conigli dal cilindro.
Quando non è un anagramma è un palindromo o una rima interna o un doppio senso, alla fine appena Lucas dice buongiorno l'altro se la ridacchia e quando te ne rendi conto ormai non puoi farci più niente, meglio starsene zitti e accettare, un altro caffettino e quelle cose.
Il tipo non se ne perde una, e gli racconta, a Lucas, che per lui le parole non sono che un principio, una faccia d'un poliedro vertiginoso, e se Lucas cerca di fermarlo con una delle sue risate sardoniche che sempre gli son valse l'orrore dei suoi compagni di chiacchiere al café Rubì il suo amico rilancia e gli dice stassentì, che posso farci con quei paraventi che sembrano così piccoli là nella sala, tu guardi il paravento col suo disegno di risaie ed un paisà che monta un bufalo, pensi che i paraventi sono come le palpebre della casa, con quelle immagini vistose, e in quell'istante la signora di Cinnamomo gli si avvicina e lo spiega una volta e due volte e poi tre volte, il paravento si ingrandisce e le risaie si rimpiccioliscono perché adesso c'è un fiume, che t'andavi a immaginare che in quel paravento c'era un fiume, e di colpo una città con gente che va e che viene, casette con gente che prende il tè e geishe che sembrano farfalle, a meno che non siano farfalle con un kimono. A me questo m'è sempre successo con le parole, da quando ero un ragazzino gagagà cipicipi bugnegné (smettila, interferisce Lucas, ho capito che ti riferisci all'infanzia), ma questo non è niente, vecchio, le lettere mi uscivano già fuori dalle caselle, le sigle e le iniziali, le guardavo e sbèm, dall'altro lato, supersonicamente, cose e cose e cose mentre mia zia mi dava i pizzicotti e cazzo se mi ricordo come diceva: Questo ragazzino deve essere idiota, a metà di una parola si ferma come un deficiente che fissa 'e fianche de' pomodori.
Le mie iniziali, presta attenzione, un giorno le scrivo sul quaderno di matematica perché la maestra voleva ordine e progresso nei compiti, e quando vedo J.C. paf!, il satori, vedo Jesù Christ e sopra (o dietro, per rispetto) Jean Cocteau. Sembra niente, ma son cose che ti segnano, ciò ch'è peggio è che quarant'anni più tardi sono a San Francisco che chiacchiero con un'amica tra due viaggi di quelli che la morale ripudia, e le racconto e questa si copre col lenzuolo perché le viene come una repulsioncella e mi domanda se oltre alle iniziali ho un secondo nome ed io le dico che sì, che me ne vergogno perché è orribile ma oltre a Julio mi chiamo Florencio, e allora lei tira giù una delle sue risate a crepapelle che finiscono con tutti gli oggetti sul comodino, e mi dice:
- Jesus Fucking Christ

È chiaro che dopo questo, Lucas alluda alla Cabala con uno spaventoso rispetto.

[* pubblicato su Point of Contact, New York, Vol. IV, n. 1, autunno-inverno 1994]
[traduzione mia, di F.G., ma non state a sperticarvi sugl'acronimi]

[Dice la Cabala che se fai l'appello delle lettere, al numero nove ti risponde la têt, al numero sei la waw e al numero due la bêth: la têt è una t, la waw una o molto chiusa e la bêth, che non è la canzone dei Kiss, come una b molto moscia, tendente alla v.
Prova a leggerle una di seguito all'altra: danno la parola tôv che sta per "buono, bene".
Buono, bene è anche andare sul sito dei barabbaròli - in questo caso la b si legge proprio b - e scaricare Cronaca di una sorte annunciata, anche se è di venerdì, anche se è di diciassette: sarete mica superstiziosi. Affidatevi, come Lucas, alla Cabala: daunlodàrselo è "buono, bene".
E poi dentro c'è We all live in a jella submarine, ch'è una roba mia, ed io son assai felice d'esser dentro quest'ebook collettivo, se devo dirvela tutta.
E' a pagina 31 del primo volume. Sì, perché ce n'è pure un secondo.]

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