07 giugno 2010

Essere o non essere all'altezza

Santa Cruz de la Sierra, che è una città boliviana, a vederla dall'alto sembra una Faenza andina. Si staglia a poche centinaia di metri sul livello del mare, che già è una rarità per un paese la cui capitale è a quasi quattromila metri d'altezza, e per quel poco che interessa ha dato i natali a due calciatori, forse i più famosi di sempre, in Bolivia.

Erwin "Platini" Sanchez me lo ricordo che tirava punizioni micidiali, a foglia morta, con la maglia del Boavista, quella a scacchi bianchi e neri, quella che al minuto Marlon Brandao andava larga assai, ed aveva i capelli da giostraio.

Anche Marco Etcheverry aveva i capelli da giostraio, ed anche lui aveva tirato i primi calci in qualche campetto polveroso di Santa Cruz de la Sierra.
In più, però, el diablo, tale era il suo soprannome, aveva una faccia da indio che férmati, e l'aura del tipo poco raccomandabile, che ti guarda storto masticando foglie di coca mentre il sole affonda dietro le alture boliviesi.

Etcheverry ed Erwin Sanchez erano le stelle indiscusse della Verde che si presentava ai mondiali yankee del 94 come probabile outsider, così dicevo io agl'amici miei, io che sbranavo ogni settimana gli editoriali di Marino Bartoletti sul GS e che, ecco, avevo letto probabilmente sempre sul GS che la Bolivia sarebbe potuta essere una probabile outsider.
L'allenatore no, non aveva capelli da giostraio. Si chiamava Xabier Azkargorta, per tutti El Bigotòn, e sembrava di quei pescatori gallegos che frantumano percebes sulle spiagge ciottolose a strapiombo sull'oceano.

La Bolivia s'era qualificata per quel mondiale precedendo nel suo girone financo Argentina ed Uruguay, era una vera macchina da guerra, cristiddio, specie in casa. Chiunque arrivasse a La Paz veniva matato. Non un avversario che fosse all'altezza, non un avversario che resistesse all'altezza all'altitudine di La Paz [e certe abitudini persistono, il 6-1 sull'Argentina del 1 Aprile 2009, e non era uno scherzo, lo testimonia a chiare lettere].

Le mie quotazioni come novello Sandreani subirono una brusca picchiata quando al match inaugurale della rassegna stellestrisce el diablo Etcheverry, pel quale avevo intessuto panegirici spingendomi financo a pronosticarne il pronto approdo a qualche titolato club europeo, non viene neppure schierato nell'undici iniziale. Al suo posto un certo Ramallo, "il Pescatore dell'area di rigore", piedi infernali ed aria da chierichetto in odore di santità, troppo poco cattivo per risultare incisivo.
Eppure la Bolivia giocava, eccome se giocava.

Al settantanovesimo minuto, con la Verde sotto per uno a zero, dalla panchina sventolano i lunghi ricci del numero dieci, sguardo torvo, maglia rigorosamente dentro i pantaloncini, calzettoni calati e collo incasato.
Il mio personalissimo riscatto. Ora ne vediamo delle belle, dico io.

Durò quattro minuti e mezzo, l'apparizione del diablo ai mondiali di Usa 94.
All'ottantatreesimo minuto con un tentativo d'omicidio su Matthaus si guadagna il rosso, l'uscita anticipata dal campo e la fine dell'avventura della Verde alla scampagnata statunitense.

Non era stato all'altezza delle aspettative.
Neppure io.
Quel giorno abbandonai ogni velleità da talent scout.

Mentre la Bolivia, la gloriosa selezione andina in maglia verde della Bolivia, ritornò nei ranghi delle squadre che non sono all'altezza, se non alla giusta altezza altitudine.

[che poi scriverò molte ròbe sui mondiali, non appena i mondiali cominceranno. In diretta da una parte che ancora non si può dire, in differita, poi, 'l giorno seguente, qua].

Nessun commento: