In letteratura, per la verità, due più due non ha mai fatto quattro, lo diceva pure Flannery O'Connor, e c'era da crederle, a Flannery.
Altro slogan da sessantotto parigino, come ti sbagli.
E' un pezzo che non ci torno, all'ombra della Tour Eiffell. Non dal sessantotto, ma giù di lì.
Madame Cloros, lei sì che s'è messa su un aereo, sfidando il mal d'aria, ed è planata su Charles De Gaulle. La pista, non lo statista.
Statistiche: m'ha promesso, Madame Cloros, che mi scriverà una missiva dalla sbrilluccicante Lutezia, che me la scriverà "al novantacinque percento". Non c'è da crederle, a Madame Cloros, ché lei le scrive mica, le lettere. Le legge solo. Solo quelle che riceve. Solo quelle indirizzate a lei. Meglio ancora se non sono vergate a mano. E' che ci vuole troppo tempo ad interpretarle, dice Madame Cloros, mentre se fai un patchwork con dei ritagli di libri che ti sembrano scritti giustappunto per lei, ecco, quelle pagine là sì che le piacciono, a Madame Cloros.
Tomasz Kuciewski, me lo confidava ieri l'altro, passa certe nottate a preparare delle gran lettere per una certa Januszka. Ci siamo confrontati a lungo su questo aspetto dello spedir lettere, io a Madame Cloros, lui a Januszka: sembra che spiegare il mondo ogni volta dentro cinquanta righe lo facesse pure lui già nel settantanove, e con Ostinazione (che in polacco si dice Upòr, e piripìm, e parapàm), ed insomma niente, è sempre una serendipità rispecchiarsi nel Kuciewski, dopotutto.
Ha detto Kuciewski che certe volte "abbisogna fare pulizia".
Ieri l'ho preso alla lettera, corrispondenza ferné e poi: pulizia.
Ho gettato millemila utensilini inutili, ròbe da commercio equo e solidale.
Ho fatto una sorta di pulizia etnica.
M'han redarguito, da L'Aia.
[Un'altra Aia, invece, sembra mi conceda l'onore di conoscere Rizzoli, il direttore, ma non della casa editrice: di gara.]
Si diceva: ho fatto pulizia.
Ho gettato talmente tanta carta che per fabbricarla, quella carta là, credo abbiano sterminato mezzo stato del Parà, sudovest brasileiro.
[Quando ho scritto: ho gettato nella pattumiera un pezzo di Parà, non intendevo il paracadutista. Parapparà parapparà parapparà-ppà-ppà, lo dico giusto a favore dei tizi de L'Aia, sempre sul piede di guerra].
Carta canta, recita l'adagio, e a guardarla là, abbandonata in fondo alla pattumiera, m'è sembrato di sentirla vocalizzare davvero, quella carta, schiarire la voce ed intonare un fado, o forse no. Era triste e malinconica come certi suoni che riecheggiano tra le fronde della foresta amazzonica, quell'ammasso di cellulosa macchiata d'inchiostro (certuno meritevole, certun'altro no).
Pulizia. Linearità. Ordine.
Ultimamente ascolto (quasi) solo ed esclusivamente Dente, e sto leggendo un libro in cui si parla di cani, molto, e di denti, anche tanto, I cani là fuori, di Gianni Tetti.
Tetti, come quelli di Viterbo sui quali mi sono sentito Gavroche a sbevicchar neri d'avola mentre ascoltavo Dente raccontare la storiella del pomodoro di Fidenza.
Non mi permetto divagazioni, né nell'ascolto, né nella lettura.
Mi sta piacendo assai, il libro di Tetti.
Perché son storie sullo sfondo d'un'Isla Sarda ancestrale, à la Fois, e perché son cruente, ma d'una cruenza caritatevole, quasi.
Eppoi, perché se sommi gl'addendi d'ogni racconto, ecco, t'accorgi che due più due non fa mai quattro.
Come diceva Flannery O'Connor.
Come scrivevano sui muri della Sorbona nel sessantotto.
Come potrei leggere in calce ad una delle missive (rare) di Madame Cloros.
Se solo la spedisse, se solo.
Se solo la scrivesse, se solo.
Altro slogan da sessantotto parigino, come ti sbagli.
E' un pezzo che non ci torno, all'ombra della Tour Eiffell. Non dal sessantotto, ma giù di lì.
Madame Cloros, lei sì che s'è messa su un aereo, sfidando il mal d'aria, ed è planata su Charles De Gaulle. La pista, non lo statista.
Statistiche: m'ha promesso, Madame Cloros, che mi scriverà una missiva dalla sbrilluccicante Lutezia, che me la scriverà "al novantacinque percento". Non c'è da crederle, a Madame Cloros, ché lei le scrive mica, le lettere. Le legge solo. Solo quelle che riceve. Solo quelle indirizzate a lei. Meglio ancora se non sono vergate a mano. E' che ci vuole troppo tempo ad interpretarle, dice Madame Cloros, mentre se fai un patchwork con dei ritagli di libri che ti sembrano scritti giustappunto per lei, ecco, quelle pagine là sì che le piacciono, a Madame Cloros.
Tomasz Kuciewski, me lo confidava ieri l'altro, passa certe nottate a preparare delle gran lettere per una certa Januszka. Ci siamo confrontati a lungo su questo aspetto dello spedir lettere, io a Madame Cloros, lui a Januszka: sembra che spiegare il mondo ogni volta dentro cinquanta righe lo facesse pure lui già nel settantanove, e con Ostinazione (che in polacco si dice Upòr, e piripìm, e parapàm), ed insomma niente, è sempre una serendipità rispecchiarsi nel Kuciewski, dopotutto.
Ha detto Kuciewski che certe volte "abbisogna fare pulizia".
Ieri l'ho preso alla lettera, corrispondenza ferné e poi: pulizia.
Ho gettato millemila utensilini inutili, ròbe da commercio equo e solidale.
Ho fatto una sorta di pulizia etnica.
M'han redarguito, da L'Aia.
[Un'altra Aia, invece, sembra mi conceda l'onore di conoscere Rizzoli, il direttore, ma non della casa editrice: di gara.]
Si diceva: ho fatto pulizia.
Ho gettato talmente tanta carta che per fabbricarla, quella carta là, credo abbiano sterminato mezzo stato del Parà, sudovest brasileiro.
[Quando ho scritto: ho gettato nella pattumiera un pezzo di Parà, non intendevo il paracadutista. Parapparà parapparà parapparà-ppà-ppà, lo dico giusto a favore dei tizi de L'Aia, sempre sul piede di guerra].
Carta canta, recita l'adagio, e a guardarla là, abbandonata in fondo alla pattumiera, m'è sembrato di sentirla vocalizzare davvero, quella carta, schiarire la voce ed intonare un fado, o forse no. Era triste e malinconica come certi suoni che riecheggiano tra le fronde della foresta amazzonica, quell'ammasso di cellulosa macchiata d'inchiostro (certuno meritevole, certun'altro no).
Pulizia. Linearità. Ordine.
Ultimamente ascolto (quasi) solo ed esclusivamente Dente, e sto leggendo un libro in cui si parla di cani, molto, e di denti, anche tanto, I cani là fuori, di Gianni Tetti.
Tetti, come quelli di Viterbo sui quali mi sono sentito Gavroche a sbevicchar neri d'avola mentre ascoltavo Dente raccontare la storiella del pomodoro di Fidenza.
Non mi permetto divagazioni, né nell'ascolto, né nella lettura.
Mi sta piacendo assai, il libro di Tetti.
Perché son storie sullo sfondo d'un'Isla Sarda ancestrale, à la Fois, e perché son cruente, ma d'una cruenza caritatevole, quasi.
Eppoi, perché se sommi gl'addendi d'ogni racconto, ecco, t'accorgi che due più due non fa mai quattro.
Come diceva Flannery O'Connor.
Come scrivevano sui muri della Sorbona nel sessantotto.
Come potrei leggere in calce ad una delle missive (rare) di Madame Cloros.
Se solo la spedisse, se solo.
Se solo la scrivesse, se solo.
1 commento:
Se solo la scrivesse... bravo Fabri, non smettere ;)
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