Avessi in cantina una bottiglia di Moscato Passito, magari della Cantina Sant’Andrea, non esiterei a farmi proselite del clan dello zibibbo di lerosiana memoria.
E così, con l’ambrato nettare nel bicchiere, brinderei ad ogn’istante che ha riempito un giovedì terracinese insolitamente afoso.
A cominciare dall’amante del mondo che, a Fossanova Priverno, seduto ad un tavolo del bar Locomotiva (bel nome, per un bar della stazione), lancia baci ai vagoni sferraglianti nell’agropontino.
Brinderei agl’attori lucani (no, non a quelli di Lugano) ed agli sbadati impiegati dell’anagrafe ignari dell’alto atto poetico ch’han fatto a mettere una “gei” al posto d’una “ipsilon”.
All’accendino che sono fortunosamente, date le attitudini dell’entourage, riuscito a riportare a casa, sano e salvo.
Alla Flacca che non è un’invenzione degli Jarabe de Palo e al Pescamontano che domina svettante.
A Pasolini, per come ha dipinto Vicolo Rappini e per quanto aveva ragione, pedalando, nell’esclamare “ma dove cazzo sta er mare?”.
Agli spaghetti con le vongole di Ernesta, al vino frettolosamente accaparrato, ai piccioni che si fanno Cupido e agl’insaccati dimenticati della Lucania.
Alla signora fornaia che resiste imperterrita a panificare a legna, al teatro romano che c’è ma non si vede, al Vicolo delle Belle e ai caffè al vetro. Alla fontanella di Piazza Santa Domitilla, svuotata, asciutta.
Alla platea accorsa per Massimo. A Massimo. Ad Apnea e al primo capitolo rubato (senza via di sCampi).
A Mr G che Eduardo lo ha interpretato proprio bene. Alla disarmantemente bravebell’attrice Rossella, che era Clo ed io non lo sapevo.
A Mastrilli, al brigantaggio tutto, al cinema ed al cazzuto Enrico.
E poi, concedetemelo, alle ghepàrdiche falcate con le quali ho attraversato tredici-dico-tredici binari per catapultarmi sul treno alle civitasvetuline lande diretto.
Atletico e scattante (sic) come quando ero ancora nella parte buona dei vénti.
Santé.
E così, con l’ambrato nettare nel bicchiere, brinderei ad ogn’istante che ha riempito un giovedì terracinese insolitamente afoso.
A cominciare dall’amante del mondo che, a Fossanova Priverno, seduto ad un tavolo del bar Locomotiva (bel nome, per un bar della stazione), lancia baci ai vagoni sferraglianti nell’agropontino.
Brinderei agl’attori lucani (no, non a quelli di Lugano) ed agli sbadati impiegati dell’anagrafe ignari dell’alto atto poetico ch’han fatto a mettere una “gei” al posto d’una “ipsilon”.
All’accendino che sono fortunosamente, date le attitudini dell’entourage, riuscito a riportare a casa, sano e salvo.
Alla Flacca che non è un’invenzione degli Jarabe de Palo e al Pescamontano che domina svettante.
A Pasolini, per come ha dipinto Vicolo Rappini e per quanto aveva ragione, pedalando, nell’esclamare “ma dove cazzo sta er mare?”.
Agli spaghetti con le vongole di Ernesta, al vino frettolosamente accaparrato, ai piccioni che si fanno Cupido e agl’insaccati dimenticati della Lucania.
Alla signora fornaia che resiste imperterrita a panificare a legna, al teatro romano che c’è ma non si vede, al Vicolo delle Belle e ai caffè al vetro. Alla fontanella di Piazza Santa Domitilla, svuotata, asciutta.
Alla platea accorsa per Massimo. A Massimo. Ad Apnea e al primo capitolo rubato (senza via di sCampi).
A Mr G che Eduardo lo ha interpretato proprio bene. Alla disarmantemente bravebell’attrice Rossella, che era Clo ed io non lo sapevo.
A Mastrilli, al brigantaggio tutto, al cinema ed al cazzuto Enrico.
E poi, concedetemelo, alle ghepàrdiche falcate con le quali ho attraversato tredici-dico-tredici binari per catapultarmi sul treno alle civitasvetuline lande diretto.
Atletico e scattante (sic) come quando ero ancora nella parte buona dei vénti.
Santé.
1 commento:
bel reportage in terra di confine !!
e pensa a quando sarai nella parte buone dei trenta !!
Posta un commento