20 marzo 2009

Sei Ilde, sei? (della kaballah per cechi e di una metalettura)


Einmal ist keinmal […] Quello che avviene solo una volta, è come se non fosse mai avvenuto. Se l’uomo può vivere solo una vita, è come se non vivesse affatto”. (16)

Con Ilde non è stato amore a prima vista, direi di no.
Ci siamo guardati, lo ammetto, più volte negli anni. Forse ho provato attrazione, una volta.
Eppure sempre le nostre strade si sono allontanate.
Mi piaceva il nome, di Ilde. Ilde. Trasuda mitteleuropità, Ilde.
Di lei ho parlato, talvolta a sproposito, paventando conoscenze più o meno approfondite.
Così come di suo padre, d’altronde.
Poi ecco, ci siam trovati nel bailame dei mercatini natalizi.
Ma subito ripersi.
Quando e come, non saprei dirlo con esattezza. Ed è uno strano caso, poi, perché a me capita raramente di smarrire quelle come Ilde, figuriamoci Ilde in persona.
Tempo dopo, poi, quando l’ho rivista con indosso un bel vestitino ceruleo, in situazioni del tutto inaspettate – quel giorno sarei voluto rimanere a casa, e se proprio fossi dovuto uscire l’avrei fatto dopocena, e se proprio c’era bisogno di quella passeggiata pomeridiana che fosse fuori civitasvetula, e se proprio dovevamo rimanere a civitasvetula mi sarebbe andato un caffè, e se dovevamo proprio fermarci a quella bancarella di libri non ne avrei comprato nemmeno uno, vabbé se proprio ne avessi dovuto scegliere uno sarebbe stato uno fotografico, in ottime condizioni – ecco, Ilde non me la sono fatta di certo scappare.
La magia delle coincidenze, credo.
a
Ma non è invece giusto il contrario, che un avvenimento è tanto più significativo e privilegiato quanti più casi fortuiti intervengono a determinarlo?” (56)

L’ho pagata, per inciso, sei euro.
Sei.
Ilde è l’Insostenibile Leggerezza Dell’Essere, di Milan Kundera.

L’uomo, spinto dal senso della bellezza, trasforma un avvenimento casuale in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita.

Ci si aspetterebbe che io affermassi d’averlo letto sei volte.
Direi una bugia.
Però, questo sì, ho segnato – come sempre, d’altronde – i passi che più m’erano piaciuti con un segno sul foglio. Una piegatura impercettibile, striminzita.
Poi, a lettura terminata, l’ho risfogliato. Così, per vedere cosa m’aveva davvero colpito.
E’ in quell’istante che l’occhio m’è sfuggito a pié di pagina.
Sei in ogniddove.
Pagina 16. Poi pagina 56. E dire che ad Ilde, il sei, piace particolarmente.

La chiamò per pagare […]. “Lo può mettere sul mio conto?”, chiese lui.
“Certo”, rispose. “Qual è il suo numero?”.
Lui le mostrò la chiave alla quale era legata una tavoletta di legno con su disegnato un sei rosso.
“E’ strano”, gli disse lei “il numero sei”.
“Cosa c’è di strano?” chiese lui.
[…]
“Lei ha la camera numero sei ed io alle sei smetto di lavorare”.

Può essere?, mi sono chiesto. Può essere!
Muss es sein? Es muss sein!
Il potere della kaballah ha squarciato la mia cecità.
L’empatia per l’autore di Brno ha esaltato la mia cechità.
Ho avuto paura.
Non terrore. Paura.
Di quelle paure che sono il b-side del desiderio. Desiderio di perdermi ancora, ed ancora, ed ancora, nella rotonda spigolosità del numero sei.
Ho provato un senso di vertigine.

Chi tende continuamente verso l'alto deve aspettarsi prima o poi d’essere colto dalla vertigine. Che cos’è la vertigine? Paura di cadere? Ma allora perché ci prende la vertigine anche su un belvedere fornito di una sicura ringhiera? La vertigine è qualcosa di diverso dalla paura di cadere. La vertigine è la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con la paura”.

Non ci crederete, forse.
Ma Kundera dice tutto questo a pagina 66.

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