24 settembre 2008

All'Avana senza un cazzo da fare, se non scrivere


Se, passeggiando per Parque Central all'Avana vi capitasse di vedere un giovane intento a colloquiare con John Lennon - o meglio, con la statua bronzea del maitre-à-penser dei Beatles, non preoccupatevi. E' solo Alejandro Torreguitart Ruiz, che sta confessando al metallico interlocutore la pubblicazione del suo libro Machi di carta. In Italia, però. Non nell'Isla Grande.
"Tu dimmi che soddisfazione c'è a pubblicare un romanzo e nessuno sa che l'hai fatto. Un po' come scoparsi la più bella mulatta dell'Avana e non poterlo dire".
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C'è tutta l'essenza malinconica di Cuba e della sua capitale, nel romanzo-non-romanzo-sì-che-è-un-romanzo di Torreguitart. Un melange saporito d'ingredienti, un'ajiaco sì, ma agrodolce.
Una sequela di fermo immagine, zaffate d'aria calda che spazzano il Malecòn, tornado preannunciati dal hombre del tiempo e mujeres de fuego che ti rapiscono l'anima.
Salsa e son suonati controvoglia, ché il gruppo vorrebbe rockeggiare anche dentro la Casa de la Cultura.
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Ci sono le telefonate col camajàn italiano, le contrattazioni febbrili per un romanzo che non si riesce a pubblicare e le lezioni all'università.
I libri di Carpentier e (meno) quelli di Abel Prieto, lui sì che ha successo, d'altronde "ha il ministero della cultura come press agent".
C'è Juliana, jinetera tra le jineteras che sogna la fuga, lo spasimante che la porti via da Cuba, non prima però d'aver fatto visita a la Milagrosa.
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C'è Meo Porcello ed i fratelli compagni d'Angola, i titoli a caratteri cubitali del Granma e le libere elezioni.
Una rivoluzione ormai sbiadita, che vive celebrando i propri cliché, almeno fin quando ci sarà Fidel.
Perché poi sarà il momento di "[...] Raùl che perde tempo con galli da combattmento e creoli dagli occhi castani, Alarcòn che prende lezioni di Economia ed Abel Prieto che riscrive il volo del Gatto. [...] Ecco il grande cambiamento della nostra storia, che tutto cambi perché nulla cambi. Adiòs Fidel. Ci mancherai".
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I giovani cubani cercheranno ancora, domani come oggi, "un uomo, una lancia, una cosa qualunque, fuggire". Anche se "gli eroi non fuggono, restano fedeli ad una città perduta, si adattano al quotidiano per sopravvivere, ché motivi per scappare ne avrebbero tanti, ma restano attaccati alla loro terra solo per il terrore della nostalgia".
Nostalgia per una mulatta dai fianchi larghi, per le facciate sdrucite dei palazzoni dell'Avana, dove Alejandro continua imperterrito a scrivere e camminare, senza un cazzo da fare.
Solo scrivere, e suonare.
Sempre che "non venga fuori il solito italiano stronzo a chiedere Hasta Siempre, che un giorno o l'altro la batteria gliela suono sulla testa a questi comunisti che sanno un cazzo cos'è il comunismo".
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