I ruggenti anni ottanta sono stati anni di grembiulini indossati con nonscialanza quasi radicalchic.
Ricordo che all'asilo - oltre ai venerdì di pane e formaggino e insalata di carote che detestavo - scintillavo avviluppato nei miei grembiulini colorati, insieme ad una variopinta moltitudine schiamazzante nel cortile, maschietti a tirar calci ad un pallone col bottone del colletto slacciato e femminucce ad ammantarsi di straccetti e simulare cerimonie nuziali perfette nella casetta di mattoncini al centro del giardino.
C'erano pure le oche, starnazzanti.
Quelle vere, s'intende.
Le bambine lo sarebbero diventate qualche ditino più in là.
Ne avevo uno celeste, uno giallo ed uno arancione, di grembiulini.
Poi sarebbero giunti gli anni delle elementari, del "grembiule" da grande, blu scuro, compatto, d'ispirazione sovietica e con allacciture improbabili.
Oggi, dalla finestra della mia camera, osservo i pocopiùchepoppanti aggirarsi in magliettine a mezze maniche e pantaloncini corti. Nessun rispetto per la divisa. Segno dei tempi.
Meno male che c'è l'operazione revivalista della Gelmini, maitre-à-penser del "grembiulino egualitario", ché "sotto un grembiule nero spariscono le disparità sociali e si sviluppa il senso di appartenza e l'orgoglio di andare a scuola".
Sono pronto a scommettere che non spariranno le griffe, né la disparità sociale da grembiule.
Solo, gli stemmini della naic, delle winx, di chissà qual altro afflato modaiolo trasuderanno, dalle felpe, fino a stamparsi sul grembiulino.
Mi viene in mente una barzelletta very eighty.
Sudafrica. Apartheid. Nello scuolabus, i bimbi neri vengono invitati a sedere sul retro. I bianchi nei primi posti.
Una maestra più coraggiosa delle altre azzarda una soluzione egualitaria, Gelmini d'altri tempi.
"Da oggi non esistono più bianchi e neri. Siete tutti azzurri.".
Salvo poi specificare.
"Ok, adesso, da bravi. Azzurri chiari davanti, azzurri scuri dietro".
Ricordo che all'asilo - oltre ai venerdì di pane e formaggino e insalata di carote che detestavo - scintillavo avviluppato nei miei grembiulini colorati, insieme ad una variopinta moltitudine schiamazzante nel cortile, maschietti a tirar calci ad un pallone col bottone del colletto slacciato e femminucce ad ammantarsi di straccetti e simulare cerimonie nuziali perfette nella casetta di mattoncini al centro del giardino.
C'erano pure le oche, starnazzanti.
Quelle vere, s'intende.
Le bambine lo sarebbero diventate qualche ditino più in là.
Ne avevo uno celeste, uno giallo ed uno arancione, di grembiulini.
Poi sarebbero giunti gli anni delle elementari, del "grembiule" da grande, blu scuro, compatto, d'ispirazione sovietica e con allacciture improbabili.
Oggi, dalla finestra della mia camera, osservo i pocopiùchepoppanti aggirarsi in magliettine a mezze maniche e pantaloncini corti. Nessun rispetto per la divisa. Segno dei tempi.
Meno male che c'è l'operazione revivalista della Gelmini, maitre-à-penser del "grembiulino egualitario", ché "sotto un grembiule nero spariscono le disparità sociali e si sviluppa il senso di appartenza e l'orgoglio di andare a scuola".
Sono pronto a scommettere che non spariranno le griffe, né la disparità sociale da grembiule.
Solo, gli stemmini della naic, delle winx, di chissà qual altro afflato modaiolo trasuderanno, dalle felpe, fino a stamparsi sul grembiulino.
Mi viene in mente una barzelletta very eighty.
Sudafrica. Apartheid. Nello scuolabus, i bimbi neri vengono invitati a sedere sul retro. I bianchi nei primi posti.
Una maestra più coraggiosa delle altre azzarda una soluzione egualitaria, Gelmini d'altri tempi.
"Da oggi non esistono più bianchi e neri. Siete tutti azzurri.".
Salvo poi specificare.
"Ok, adesso, da bravi. Azzurri chiari davanti, azzurri scuri dietro".
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