24 novembre 2011

Come si fa con le meringhe

Il ventuno di giugno: se c'è una cosa che dovreste sapere sul ventuno di giugno è che Los Angeles si fa crogiuolo di viali in combustione, e per definirla bisognerebbe cercare un aggettivo, là da qualche parte, nella sterminata lista di lemmi del vocabolario fahrenheit, imprigionato in un'intercapedine tra torrido e rovente.
Ho prenotato una suite, una suite al Bel Air: a che nome, signore? Bert, ho risposto. Si tratta di un'occasione particolare, signore? Può ben dirlo, ho confermato senza entusiasmo, con laconicità. M'hanno assegnato la 261. Sotto la finestra il Sunset Boulevard è una colata magmatica di palme e lamiere incandescenti.
Le auguro un piacevole soggiorno, signor Bert, dice il facchino. 

Finisce che la aspetto per un tempo che a volerlo definire bisognerebbe cercare una declinazione, là da qualche parte, nel torrente melmoso tra l'interminabile e l'eterno.
Chiamo il servizio in camera. Faccio portare tre bottiglie di Dom Pérignon. E del ghiaccio. Del copioso ghiaccio, per favore, dico.
Nel borsone ho vestiti, collane, foulard per lei. Per me, poi calzini e mutande. Un paio soltanto. Riparto domani.

Si presenta con cinque ore di ritardo. A quel punto ho già montato, smontato, rimontato, rismontato la mia Hasselbad b/w otto volte. Si presenta con cinque-dico-cinque ore di ritardo: è bella. Tragica. Complessa.

Vuoi fotografarmi nuda, vero?
Mi sembra una buona idea.
E quanto vedrai, tu?
Dipende dalla luce.

Fotografare una donna, strapparne un'immagine nell'intimo, è cosa complicata tra le più complicate. In intimo: son capaci tutti. Ma prova nell'intimo. Vedi già da te.
No, non sto lavorando, quando comincio a scattare. Alterno la Hasselbad con la Nikon, 35mm. No, non sto lavorando. No, non sono sposato. No, non siamo a Los Angeles e no, non è il ventuno giugno. No: fuori non c'è l'inferno. L'inferno è qua dentro, alla suite 261 del Bel Air. Davanti a me: Lucifero con un collier di diamante. 

La cistifellea è l'alleata più fedele dell'odio: t'incazzi e lei rilascia tutta la bile incamerata, è un meccanismo semplice, la teoria dei vasi comunicanti vale tanto per le water tower quanto per il groviglio di cellule che c'alberga sotto il costato.
Lei, divina ed eterea, gliel'han rimossa, a lei, la cistifellea. Non serviva, avran pensato.

Con la trentacinque millimetri hanno immortalato rabone dal limite dell'area, tagli del traguardo al fotofinish, beduini sorridenti e l'altura nebbiosa del Machu Picchu. Nessuno aveva mai impresso su pellicola, con una trentacinque millimetri, Dio. Che poi è il Diavolo. Che poi è Dio con una cicatrice sul costato, l'eredità della trascendenza, della gioia imperitura: di quando le han portato via la cistifellea, ché mica le serviva, a lei, la cistifellea.

Vulnerabile, vulnerabile e terrena: Dio con una cicatrice in petto dismette l'onnipotenza per calarsi nella suite 261 del Bel Air e irrompere tuttanotte con l'incarnato color della sciampagna, dell'alabastro.
Che ti verrebbe da metterci un dito, dentro la sua pelle, San Tommaso scapigliato e dalle confutazioni balbettanti, spingere coi polpastrelli fino a sentire il calore avvolgente, come si fa con le meringhe.

Ogni vocale degli Everly Brothers si scioglie melensa, come liquefacendosi.
It's getting hot in here, e tutto quel che c'è da fare è sognare, null'altro.


[il 21 giugno del 1962 Bert Stern ha scattato più di duemila foto a Marilyn Monroe. L'ultimo set. Ball. Match.]

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