08 aprile 2011

Quadernini di traduzione: Essere morto, di Andrés Neuman*

Bene. Ho sessantatre anni. Sono appena morto. La sfortuna, lo stress, la genetica. Che ci vuoi fare. Secondo i calcoli dello stato, per me che ho sempre lavorato al nero, mi mancavano ancora tre anni per andare in pensione. Mi preoccupa esser morto così presto, ma mi preoccupa ancor di più essermene andato lasciando insoluti tre anni di contributi. Sono stato un uomo responsabile. Non voglio essere un morto negligente. Per fortuna mio figlio è ancora giovane. L'ho avuto tardi, che volete, m'è costato tempo e fatica trovare un impiego fisso. Mio figlio ha trentuno anni. Forse tra qualche tempo troverà lavoro. Gli restano, perciò, almeno trentacinque anni di vita utile. Facciamo due conti: trentacinque anni di vita utile, più i tre che suo padre ha lasciato coi contributi insoluti nei confronti dello Stato, fanno trentotto in totale. Bene. Non è neppure tanto male. Io, per esempio, ho dovuto lavorare due anni di più. Ho iniziato che avevo ventitre anni, son morto a sessantatre: fanno quaranta anni di lavoro. Vedi, più passa il tempo, più miglioriamo. L'aritmetica ti rende più tranquillo. Anche essere morti. 

*Traduzione [leggermente emendata] di questa microrréplica 

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