C'è un punto, in Stirpe di Fois che poi non si legge fuà ma foɪs, giassai, in cui lei, suor Mercede, la sua preferenza l'aveva già espressa. "Meglio morta", pisipiava.
Pisipiare io la trovo una parola bellèrrima, parola da notte nubiana e nubescènte, parola da aliti di vento sul lago, parola che evoca altre parole, madide di sonno, pisipìgli che c'è da far piano quando gl'altri dormono, lo pisipiglia pure Anna Sophie prima di chiudere le palpebre.
E se a bisbigliare si fa già più suono, lemma più empio, più mascella, più labbra, più bolle di sapone con la sabbia tra le dita dei piedi (al bisbiglio ci si è già quasi baciati), nel pisipìo c'è tutto il tacito richiamarsi, il psspss per attirarla e con un sorriso dirle che le stanno bene, i capelli di quel colore, ma dicendoglielo senza dirlo davvero.
Gl'ispagnoli, che le ròbe in silenzio sanno mica farle, dicono cuchichear, un sussurro cuchicheado è tonitruante, ma che sussurro è?, un sussurro deve suonare come la pioggia leggera sulle felci, schizzo sfuggevole, veterosonoro, in dissolvenza.
Più discrezione, gl'ispagnoli, la mettono quando pispìano, pispiar lo usano solo nelle americhe, in Cile chi pispìa è un sospettoso, che sottintende ed insinua, mentr'in Argentina si pispìa quando ci si impiccia, e punto.
Certe volte mi verrebbe da impicciàrmici, nella testa di Chiara, quando dorme sul divano, ed invece no, son mica un pispiante bonaerense, io, le faccio solo psspss, andiamo a letto, torniamo lumache. Sotto la pioggia. In silenzio. O quasi.
Nessun commento:
Posta un commento