17 giugno 2010

La storia che mi son raccontato stanotte

Mi racconto delle storie quando dormo solo, quando il letto sembra più grande di quanto non sia e più freddo, ma me le racconto anche quando c'è Niagara e si addormenta prima di me, si aggomitola come una chiocciolina e si addormenta fra mormorii rassicuranti, quasi come se anche lei si stesse raccontando una storia. Molte volte vorrei svegliarla per sapere com'è la sua storia (mormora solo quando dorme e questo non assomiglia nel modo più assoluto a una storia), però Niagara torna sempre così stanca dal lavoro che non sarebbe né giusto né bello svegliarla proprio quando s'è appena addormentata e sembra paga di tutto, paga nella sua chiocciolina profumata e mormorante, e così la lascio dormire e mi racconto delle storie.

La storia che mi son raccontato stanotte era la storia di Kagisho Dikgacoi, centromediano metodista del Fulham e della nazionale sudafricana, che di secondo nome fa Evidence. Ce ne sono molti, che si chiamano Evidence, in Sudafrica. Perché Evidence vuol dire "testimonianza", testimonianza che Dio certe volte ci scende pure, in Africa, in Sudafrica, a far cosa non si sa, a far nascere bimbi, bimbi che poi diventano calciatori ai mondiali, forse.
La storia di Dikgacoi era una storia molto arzigogolata, piena di scioglilingua e parolevaligia, e parlava di come nessuno fosse in grado di pronunciare il cognome esatto di Dikgacoi, parola Tswana che va letta di-ga-scia-ui, e non dic-ca-cioi.
Quindi niente: alla fine di quella storia si scopriva che Evidence, "testimonianza", stava per a testimonianza del fatto che a saper pronunciare i cognomi tswanesi nella maniera corretta son proprio pochi. C'era pure chi si faceva scappare una risata.

Ah: negli ultimi strascichi della vicenda saltava fuori pure che le prime dieci righe di questo post altro non erano che l'incipit di "Storie che mi racconto" di Julio Cortàzar (che si trova in Tanto amore per Glenda), mica una ròba originale di Fabrizio Gabrielli, al quale qualcuno dava pure del millantatore.
Solo che poi con una risata il modesto scrittorucolo italiano dichiarava apertamente il furto, anzi lo chiamava "prestito", qualcuno ammetteva d'esserci cascato e niente, grosse risate ed un sorso di sciacchetrà tutt'insieme, come non fosse successo nulla.

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