23 giugno 2010

El optimista del gol, Martin Palermo

E non crediate che una zazzera bionda ed un paio d’orecchini vistosi possano fare di me un irriconoscente, uno che non sa usare i congiuntivi, un matto.
Anche se matto, loco, mi piace, perché io poi penso sempre all’attacco di locomotora, e questa mi sento, una locomotiva, dietro di me tutti gl’altri, io a sbuffar fumo dalle narici e masticare i binari e guai a chi si trova sul mio percorso.
A Diego ci voglio molto bene, come tutti dalle nostre parti, anche se lui sì che è matto per davvero: ma io ci voglio bene di più.
È stato lui che m’ha voluto con gli xeneizes. Io ci avevo la zazzerona bionda e i piedi mica tanto buoni, ne avevo insaccati un ciuffo con l’Estudiantes de La Plata ma magie come quelle di Riquelme, dei fratelli Schelotto, di Ariel el Burrito Ortega ne facevo mica, io no, ero un titano, un gigante cogli scarpini a spigoli. Però la buttavo dentro e lì zitti tutti.
C’è il Clarìn che m’ha dipinto come una stella del cinema, e come dargli torto, chi ce l’ha avuta una carriera come la mia? Diec’anni fa mi son rotto i legamenti crociati del ginocchio sinistro, e vaya con Dìos. Stacci tu sei mesi fermo, se ci riesci. Ti mangi il cervello, a startene fuori per tutto quel tempo.
Fortuna che a far gol e come andare in bicicletta: una volta imparato, non ti disimpari.
Ed io, fortunatamente, mai ho disimparato. Anche se lontano da casa mia qualcuno può averlo pensato, può starci: in Ispagna nient’altro che brutte figure, gridavan ma chi è quel matto?, e ci avevano ragione.
Le Canarie non sono l’Argentina, ecco, neppure Siviglia, ecco, neppure Alaves, ma cosa ci son venuto a fare, in Europa?
Torno, allora.
Con il nome che mi porto sul passaporto e dietro la maglia, subito sopra il nove, non si gioca che a Baires, avrei dovuto capirlo subito. Come se mi chiamassi La Boca, io. Son Palermo, d’altronde, Palermo come il quartiere, Palermo come il parco, son Palermo ed insieme tutti quelli che abitano a Palermo, non la città italiana, il quartiere bonaerense.
Nei film, in tutti i film, arriva un momento in cui il personaggio principale lo odi, lo mandi a farsi fottere e t’alzi per prenderti una Quilmes e non vedi l’ora che si riscatti, quel personaggio là, sennò vedrai che guaio. Io, nel film che m’ha appiccicato addosso il Clarìn, quel momento là lo vivo nella partita di Coppa America contro la Colombia. Ci danno un rigore, dico: lo tiro io. Lo sbaglio. Ce ne concedono un altro, faccio: ragazzi, fatemi riscattare, vado e lo calcio io. Sbaglio pure quello. Poi, l’arbitro indica il dischetto una terza volta. C’è Diego Simeone che mi guarda supplichevole, non vorrai mica?, sembra chiedermi. Voglio, eccome. Sbaglio. Pure quello. Che brutta figura.
Son quei momenti che ti verrebbe da spegnerlo, il film, e gettar via il dvd.
Invece poi funziona che t’affezioni, prosegui nella visione e verso il finale, un finale che ancora deve arrivare e che non arriverà presto, potete giurarci, quel Palermo là si riscatta, oh se lo fa, segna un gol sotto il diluvio contro il Perù e mica un gol normale, il due a uno che sembra dire a Diego, che io gli sarò riconoscente per sempre, a Diego, perché ci voglio bene, come tutti gli altri qua da noi ed anche di più, sembra dire a Diego vai in Sudafrica e portaci a casa la Coppa.
Contro la Grecia, dieci minuti dalla fine e siamo già in Africa del Sud, Diego che io ci voglio bene, come tutti gli altri, ma io di più, mi guarda e dài che entri. Entro. Faccio pure gol, ed è una scena proprio da quasi finale del film, il giovane Leo capitano più giovane, il vecchio Martìn goleador più vecchio. La pioggia, un’altra volta. Diego.
Non mi fermerò qua, potete giurarci su. Sono ottimista, un’ottimista del gol.
E voialtri datemi del matto, del loco.
Questa coppa ce la pigliamo noi, cascasse il mondo.
Vediamo poi chi ha ragione, quando scorrono i titoli di coda del gran bel film, se voialtri o Martin Palermo, el loco, sì, el locomotora, mica cazzi.

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