Vedi Cloros,
se c’è un’intuizione la cui fondatezza m’ostinerò a dimostrare di qui a quando ne avrò voglia è che esiste, deve per forza esistere, una qualche correlazione, un po’ come tra le tue scuse e i nostri caffè mai presi, tra la sbriciolosa predisposizione allo sberleffo della toponimia Alto Viterbese e l’ironia galantuoma di chi, nell’Alto Viterbese, v’abita.
Me lo faceva notare, e spesso accade così, che le cose vengano a cavallo dell’animosità schiumosa d’un abbirrazzamento, un tizio che mi raccontava di quando, nel bel mezzo d’una peregrinazione al sapore di cocomero e cosce arrossate dalle punture di zanzara, si trovò nei pressi d’Onano, patria della lenticchia e d’altre legùmiche prelibatezze. Fu davanti al cartello ch’indicava le porte del paese che costrinse un suo mozzo, tozzo, rozzo amico a scender dall’auto, lo piazzò davanti al cartello stesso e, togliendosi un pedalino, compì il capolavoro d’elisione partenopea trasformando d’amblé il paesano epiteto in: O’ Nano [e per inciso, di partenope infingarda s’eran convinti d’esser finiti tra le grinfie, mi confessò con sintassi improbabile, dopo aver attraversato i viottoli di Capodimonte, ma quella sul lago, e Ischia, sì, ma di Castro, che non è isola e che non fischia nemmeno se riesci a metter ‘l sale sulla coda agl’uccellini).
Quella foto, quella là d’O’Nano, circola ancora sull’internet, e vedrai che, mi ci gioco un occhio della tua testa o quanto più m’è caro, quello che narrò le inenarrabili imprese di Gionata Donato e compagnia bella avrà di certo preso spunto da quegli scatti truffaldini, stai a vedere, son mica nato ieri.
Che poi c’è da interrogarsi lungamente, e già m’immagino la tua fronte corrugata e quella pennellata d’interrogatività sugl’occhi tuoi da mantide, sul perché profondo della ro-ma-ni-tà di certi posti che invece, a pensarci bene, sono al contrario viterbesèrrimi, a partir da Fabrica, sì, ma di Roma, che poi è più vicina a Viterbo, che non a Roma, passando per Monte che tu t’aspetti Viterbese e che macché, invece è Romano, Monte Romano, e giù così fino ad Oriolo e Bassano, entrambi: Romano, per non parlar poi di Barbarano.
E Barbara? No, Barbara è viterbese proprio, da generazioni, mica c’è diventata così, un po’ alla volta, mica è avanzata per gradi, anzi per Gradoli.
Che poi io, a Gradoli, sai Cloros?, ho sentito due tipi farsi delle gran risate su una strampalata teoria delle fondazione di Bomarzo, “che poi quello non sapeva che fa e ha detto boh, m’arzo”, e quell’altro ha caricato a coppe, “e sai quand’è successo?”, “boh, a marzo!”, e che amarezza, nevvè? E sempre a Gradoli, poi, ho visto spiagge lacustri ed un'acqua di un blu eufemistico. Ho visto l’immancabile bar dello sport ed il circolo caccia e pesca, che ci saremmo divertiti un bel po’ a farci i biscazzieri. Ho sentito il profumo che ha l'olio di caninense, che somiglia al tuo balsamo, e il colore dei grappoli d’Aleatico maturo, che somiglia ai tuoi capelli. Sono stato chiamato "giovinò" in tre diverse intercalate dialettali, tutte riconducibili al modello fonico giùessù per le domande, sueggiù per le affermazioni. E poi, a Gradoli che poteva esser tranquillamente Montefiascone o Acquapendente, c’erano giovinotti ammassati su una panchina verde, ed altri con gli sportelli delle macchine aperti e musica rock ad alto volume, quasi sempre Vasco, quasi sempre Ligabue, che sembrano godere d’imperitura fama, Vasco e Ligabue, nei paesi, soprattutto in quelli dell’Alto Viterbese, dove se v’abitassimo, Cloros, sicuramente imparerei a strimpellare piccola stella senza cielo e poi finirei per dedicartela allo spettacolo di fine anno in parrocchia, Cloros delle mie pupille, “signorinè”, pronunciato con una sciabordata sueggiù.
Che poi forse tu non lo sai, Cloros, ma a Vetriolo, che è una frazione di Bagnoregio la città tufacea che muore – e non cadere nel tranello anche tu come il primo imberbe che passa pel fontanone, su, niente velenose frecciate su Vetriolo – il venerdì santo fanno una rievocazione della cristica passione. Non starti a tormentare le unghie laccate, Cloros cara, che non lo sapevo nemmeno io, e mai l’avrei appreso se non avessi visto una foto appesa a Tuscania, ma ecco, durante quella rievocazione a Vetriolo il Cristo, oltre a crocifiggerlo, sembra gli dian pure fuoco. Ma è solo un effetto ottico, forse, ché in quella foto, ecco, si vede solo fumo, fumo rosso, non una lingua di fiamma, e forse, stai a vedere, saranno le braci ch’ardono per qualche sagra festante.
Perché un’altra caratteristica dei paesi dell’Alto Viterbese, poi, è quella di far sagre sempre. E dàgli a scorrer fiumi di cannaiola, trebbiani possenti e sfacciati, musiche zumpezzumpe che ti viene un’allegria, durante le sagre, e certi giramenti di testa, sempre in quelle sere, che l’unico sostegno che trovi sono i muri in tufo, così caldi, così sbriciolabili, così maledettamente à la page.
Ed allora se esiste una correlazione, Cloros bella e molt’altre cose, tra la sbriciolosa predisposizione allo sberleffo della topografia Alto Viterbese e l’ironia galantuoma di chi, nell’Alto Viterbese, v’abita, la pietra angolare di tutto questo costrutto deve per forza di cose esser di tufo.
Che a contatto col tufo, mi sa, si diventa più gioviali, più sinceri, paonazzi sì ma pure spensierati, ed allora ti viene da esser cortese – una volta, a Caprarola che è molto tufacea, sempre quell’amico là di O’Nano mi raccontava che gl’han dato delle indicazioni declinando alla terza persona plurale, capisci Cloros?, non gl’han detto “andate” ma “vanno”, un po’ come fanno gl’ispagnoli quando danno dell’Ustedes, che poi significa Vostra Mercede che secondo me è una formula che ha una cortesia connaturata che ti vengon i lagrimoni agl’occhi, a sentirla espettorare –, ed allora, a contatto col tufo, s’è più cortesi ed anche la presunta blasfemia d’un Cristo messo al rogo si tramuta in braciolesca convivialità, qualcosa su cui rider su, senza starsi a fare troppi problemi.
Per il tufo passano mille e mill’altre cose, Cloros.
Abbracci uno sbriciolamento di tufo ed il santo patrono esaudisce ogni tua preghiera.
T’appoggi ad un muro di tufo e di fronte a te impazza la sagra.
Facci caso: hai mai visto una sagra in riva al mare, tu? Lontana dal tufo, dì, l’hai mai vista?
E non vale dire Il Padellone a Civitavecchia.
Che quella mica è una sagra, no, quello è un “festival gastronomico”.
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