31 gennaio 2009

Milo mi, Tomasz Kuciewski

Amo, nell'accezione d'amore sciorinata dal Camra, la ale.
Un po' meno le ali.
Non quelle di pollo, beninteso. Magari fritte dorate. Magari à la caraibica. Di quelle che Usain Bolt abbatte prima di sgranocchiare ogni record. Forse, il contrario.
Le poche volte che ho giocato terzino (destro, ça va sans dire, ché in quegli anni gloriosi credevo la casacca numero tre la potessero indossare solo i cecchini da calcio di punizione, Branco e Policano su tutti), le ali m'hanno fatto impazzire.
Sono inafferrabili, le ali. Sgusciano, sbattono, si defilano, planano, dribblano, affondano. Non vanno mai in stallo, certe ali. Nè sembra accarezzarli l'idea d'avaria.
Nell'incontro con Tomasz Kuciewski, oltre alla fortuità, c'entrano delle ali.
Non quelle di pollo, beninteso.
Né, o almeno non del tutto, quelle di fascia destra o di fascia sinistra.
Che poi a guardarle, le ali d'aereo, sono davvero enormi. Le osservi sfilarti di fianco in autostrada, aggrovigliate in un abbraccio metallico al camion dei trasporti eccezionali, ne rimiri la grandeur.
Poi, quando sei a bordo, ti fanno quasi tenerezza, quelle ali. Ne capti l'oscillazione, la debolezza. Ne osservi la punta illuminata, la limitatezza.
Ali, semplicemente.
La dea bendata, che ha in custodia i voli Fiumicino-Barajas, quel giorno là aveva deciso di scioperare. L'avevano ritratta a protestare con un cappio al collo.
Problemi ai motori d'un'ala.
Ed il problema non erano i due apostrofi.
Riproteggono (bella parola, riproteggere, dà un senso di doppia protezione, come dormire tra due cuscini) il volo su El Prat. Fortunatamente, sulla pista d'atterraggio non c'erano né i fior, né le muc. Solo El Prat, lung, verd, affascinant, accoglient.
Due ore di vuoto pneumatico tra un volo e l'altro da riempire, un duty free da scandagliare.
C'è una bella tienda, laggiù, mi dicono.
Vende t-shirts futbollistiche d'antan.
Mah, non so, forse, però, eh, mah, buh, già.
Finché non scorgo una maglia-t (© Google Translator) verde. Ritrae un cespuglio cotonato. Al centro, una faccia impertinente. Baffobarbuta. Cristicamente beffeggiante.
"Ah, quello là", mormora in castellano esteuropéico una voce alla mie spalle, "che incubo era per i terzini... Leonardo Cuéllar Rivera. Bandiera di puma, calzettonati e terremoti. Avrebbe fatto la sua porca figura, a Malta. Ma non volle saperne..."
"¿Perdone...?", chiedo.
"Oh, scusa, non mi sono presentato. Milo mi, Tomasz Kuciewski...".
[2 be continued]

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