Cosa si aspetta, il lettore, da una raccolta di racconti?
Storie avvincenti, forse. Intrecci onirici o pischedelici, può darsi.
Un tourbillon d’emozioni in un morso, snack letterari da consumarsi nei pochi spiragli di tempo libero, quello sì.
E da una serie di racconti intitolata “L’inafferrabile Weltanschauung del pesce rosso”, cosa sarebbe lecito attendersi? L’ergersi a protagonista di un pesce rosso, almeno.
Invece, di scodinzolii vermigli c’è traccia solo nel primo dei racconti – “3 secondi (loosin’memory)” –, anche se con modalità del tutto inaspettate, in quello che vuole essere, in maniera nemmeno troppo velata, un tributo al Cortàzar di “Lettera a una signorina a Parigi”.
Eppure, nei rimanenti quaranta e più racconti brevi-anzi-brevissimi, permane la forma mentis di quell’animaletto che si fa, riga dopo riga, icona di una Weltanschauung, di una visione del mondo, appunto, inafferrabile, vertiginosa, precaria, smemorata.
In un panorama dominato dalla frenesia, la slowitudine si fa viatico. Come il trovare un’oasi di tranquillità nei gesti ripetitivi di “Un altro giorno, un’altra notte…un’altra volta” o in quelli fini a sé stessi di “Mario (ossia, un elogio all’inutilità)”, oppure nella scrittura per la scrittura – come i divertissements di “Centoparole”, polaroid scattate con cento-parole-cento, provate a contarle.Sono istantanee saporose di serate primaverili – “Suonatori” – o profumi d’infanzia – “Agenore ed il dolce del mattino” –, nei quali si fa largo prepotentemente una passione travolgente per il cibo come rituale – “The sweetest thing” –. E poi ci sono gli spaccati nostalgici e senza tempo di “La chapelière”, o le dagherrotipie di città lontane eppure così familiari – “Sacher”.
Familiare e per nulla lontana è invecela Civitavecchia che trasuda dai quattro racconti centrali, “terra sia pur non natale ma da ricordarsela per sempre”, dominata da personaggi che – seppur con toni macchiettistici – mostrano col petto gonfio la propria civitasvetulina veracità in risposta ad un’atmosfera di precarietà diffusa, di una città, di una comunità, della vita intera.
Precarietà come quella, per antonomasia, di “Mezza patata”, ma anche – più sui generis – come fil rouge che trapassa l’intero corpo della raccolta. Racconti come contratti a termine, dieci pagine oggi, cento parole domani, che vivono nell’ansia perenne di un rinnovo agognato.
Ed infine, proprio in zona Cesarini, ecco entrare in tackle scivolato una serie di racconti calcistici, ché come dice Camus “tutto ciò che sappiamo della vita lo apprendiamo dal calcio”.
Storie avvincenti, forse. Intrecci onirici o pischedelici, può darsi.
Un tourbillon d’emozioni in un morso, snack letterari da consumarsi nei pochi spiragli di tempo libero, quello sì.
E da una serie di racconti intitolata “L’inafferrabile Weltanschauung del pesce rosso”, cosa sarebbe lecito attendersi? L’ergersi a protagonista di un pesce rosso, almeno.
Invece, di scodinzolii vermigli c’è traccia solo nel primo dei racconti – “3 secondi (loosin’memory)” –, anche se con modalità del tutto inaspettate, in quello che vuole essere, in maniera nemmeno troppo velata, un tributo al Cortàzar di “Lettera a una signorina a Parigi”.
Eppure, nei rimanenti quaranta e più racconti brevi-anzi-brevissimi, permane la forma mentis di quell’animaletto che si fa, riga dopo riga, icona di una Weltanschauung, di una visione del mondo, appunto, inafferrabile, vertiginosa, precaria, smemorata.
In un panorama dominato dalla frenesia, la slowitudine si fa viatico. Come il trovare un’oasi di tranquillità nei gesti ripetitivi di “Un altro giorno, un’altra notte…un’altra volta” o in quelli fini a sé stessi di “Mario (ossia, un elogio all’inutilità)”, oppure nella scrittura per la scrittura – come i divertissements di “Centoparole”, polaroid scattate con cento-parole-cento, provate a contarle.Sono istantanee saporose di serate primaverili – “Suonatori” – o profumi d’infanzia – “Agenore ed il dolce del mattino” –, nei quali si fa largo prepotentemente una passione travolgente per il cibo come rituale – “The sweetest thing” –. E poi ci sono gli spaccati nostalgici e senza tempo di “La chapelière”, o le dagherrotipie di città lontane eppure così familiari – “Sacher”.
Familiare e per nulla lontana è invece
Precarietà come quella, per antonomasia, di “Mezza patata”, ma anche – più sui generis – come fil rouge che trapassa l’intero corpo della raccolta. Racconti come contratti a termine, dieci pagine oggi, cento parole domani, che vivono nell’ansia perenne di un rinnovo agognato.
Ed infine, proprio in zona Cesarini, ecco entrare in tackle scivolato una serie di racconti calcistici, ché come dice Camus “tutto ciò che sappiamo della vita lo apprendiamo dal calcio”.
Non importa quanto tempo abbiamo a disposizione, novanta minuti – come una partita – o tre secondi – come la memoria del pesce rosso. Ciò che conta è concentrare, nell’intervallo tra una tabula rasa e l’altra, tutto il mondo all’interno di una bolla di vetro soffiato.
Lì risiede l’essenza dell’inafferrabile Weltanschauung del pesce rosso.
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