21 marzo 2008

InKKKappucciati


A C., della Processione del Venerdì Santo civitasvetulino, piace soprattutto il "frrrr... frrrr" intermittente delle catene dei penitenti che strisciano sul suolo asfaltato.
A me, della Processione del Venerdì Santo civitasvetulino, piace il fatto che sia un evento squisitamente mondano, nel quale più che l'aspetto sacro predomina il fattore antropologico.
E non per la tradizione in sé, quanto per i connotati tutti "nuovi".
La Processione del Venerdì Santo è l'occasione par excellance per mettersi in mostra.
Sindaci impettiti e di tricolorfasciati tastano il polso dell'elettorato misurandolo a sguardi torvi o di benevolenza.
La Banda Comunale spolvera i tromboni e le grancasse delle grandi occasioni.
E poi è tutto uno scintillio di doppiopetti graduati, livree, pellicce se fa freddo (come oggi) e spolverini se l'aria è frizzantemente primaverile.
Mi piacciono gli sguardi degli astanti, alla ricerca del cognato che non vedi da due mesi - cioé dall'abbuffata natalizia -, dell'ex compagno di scuola, i teenager che cercano di scrutare l'ultima fiamma.
Perché insieme alle Pastorelle e alla Fiera della Patrona, la Processione del Venerdì Santo civitasvetulina è uno dei momenti aggregativi di massa, immancabile connotato della civitavecchiesità.
Le case si svuotano, addirittura c'è chi si apposta in un angolo per vendere palloncini.

E poi c'è il becero medievalismo delle centinaia di incappucciati, delle catene d'oro ostentate sulla tunica bianca, delle catene di metallo legate alle caviglie, delle penitenze da scontare, dei pater-ave-gloria recitati sommessamente.
E - tanto per rimarcare l'anacronismo - da qualche tempo sfilano pure i Cavalieri di Malta, che qualcuno credeva sopiti nei polverosi tomi di un'era che non c'è più e che invece sono tornati maledettamente in auge grazie a quello stronzetto di Dan Brown.

Ma Civitavecchia non è più un paesotto. Ci sono i turisti, anche. Gli yankee, soprattutto. Guardano la Processione del Venerdì Santo civitasvetulino e scattano foto.
Così, quando torneranno nella loro polverosa Austin o nella fredda Minneapolis, potranno raccontare di come l'Italia sprofondi ancora nelle supersitizioni e nel folklore di mille anni fa.

E poi ci sono altri turisti, questa volta neri.
Hanno nomi yankee, vestono baggy, cenano da Mc Donald.
Loro, però, alla visione di quei cappucci bianchi non sorridono, no.
Perché quei cappucci bianchi puzzano troppo, ancora, di melma del Mississippi, campi di cotone, cenere e sapone. Di corda. Di odio.

Strano come un cappuccio bianco ti faccia compiere tripli salti carpiati nel passato.
Ma questo, il civitasvetulino, non se lo immagina nemmeno.

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