31 maggio 2011

Questo tema della traducibilità della musica

C'è questo tema della traducibilità della musica, ne parlavamo tempo fa nella Saragozza meno ispagnuola e più emiliana, che poi Emiliano è un nome molto comune, in Ispagna, ma non divaghiamo, ne parlavamo con Simone e simone.
Poi niente, mi sono desaragozzizzato e m'è venuto da pensare alla Nota sul tema di un re e la vendetta di un principe in calce a Clone, un racconto di Julio Cortázar che sta in Tanto amore per Glenda.
Julio cos'ha fatto: ha tradotto in storia, usando temi (ad un livello d'analisi ulteriore, in buona sostanza, parole) e non note, l'Offerta Musicale di Johann Sebastian Bach. 
Ha preso la versione di Millicent Silver per otto strumenti dell'epoca di Bach (quella incisa dal London Harpsichord Ensemble sul disco Saga XID 5237) e niente, a sentirla suonare gl'è venuta l'idea di un racconto che ne riproducesse la forma. Ha dato ad ogni strumento un nome: il flauto si chiama Sandro, l'oboe Franca, il corno inglese Karen, il fagotto Mario.
Sulla scorta della struttura dell'Offerta, Cortázar ha diretto l'agire dei personaggi: quando nel Canone per aumentazione e per moto contrario, per dire, che sta nel centro, si richiedevano Violino viola e violoncello, ecco che ad ognuno degli strumenti ha fatto emettere suono, dire la sua, raccontare con voce stridente o ammaliante la sua particella di verità.
M'avrebbe dovuto suffragare la convinzione sull'esistenza d'una traducibilità a qualche livello della musica in linguaggio, la storiella dell'adattamento letterario dell'Offerta Musicale.
Epperò.
Ho riscontrato che nello scrivere un po' tutti, me incluso, tendiamo a sorreggerci ad una grammatica (una macrogrammatica) musicale. 
C'è un pezzo del reading di Katacrash che sto portando in giro in cui avvicino la creazione di un beat hip hop, che ha nel campionamento un modus operandi acclarato, nel quotidiano sragionare: dopotutto ogni volta che ragioniamo prendiamo in prestito assunti, frasi intere, suoni già fatti vibrare da altre corde vocali, li rielaboriamo e li stendiamo sul multitraccia del pensiero: ragioniamo (e scriviamo) per sample. Simple, no? Quindi in un certo senso traduciamo schemi musicali in schemi linguistici.
In realtà no, non traduciamo: prendiamo in prestito. Adattiamo. Operiamo calchi.
Si dice, lo sosteneva perfino Ortega y Gasset, che i prestiti linguistici siano una sconfitta per il traduttore: weltanschauung, a chiamarla visione del mondo, si va per approssimazione, per analogia, eppure: non si traduce.
Laddove linguaggio e musica si somigliano in come dicono le cose, ecco, per quel che riguarda cosa dire non potranno mai sedere allo stesso tavolo in birreria.
Poi che c'entra, le ragazze continueranno ad innamorarsi di entrambi, di musica e linguaggio, ed entrambi corteggeranno le ragazze offrendole una birra: ma il linguaggio è più tipo da stout, la musica da weiss.
E su questo c'è ben poco da fare.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

sarebbe stato meglio riferirsi a certa musica ed a certi linguaggi, perché a volte capita che certi linguaggi somiglino, senza nulla togliere alla "bassa" fermentazione, ad una lager e certa musica somigli, senza osannare l' "alta", ad una barley wine

Fabrizio Gabrielli ha detto...

messa così com'era messa, l'idea che si voleva trasmettere era quella d'un linguaggio impenetrabile, scontroso, salamoiàto, e d'una musica effervescente, agrùmica, leggera. Che, l'esperienza è di chi scrive, sembrano essere le due ròbe che più slacciano le camicette delle ragazze.