29 marzo 2011

Come non l'avevi mai percepita

Stefania Segatori ha scritto una stratorecenzia, venerdì scorso, del katacrascio, che ormai è vecchino e lasciatelo stare, anzi no, coccolatelo ancora un po'.
Senza starsi troppo a sbrodolare, ci sono nondimeno un paio di cose che m'hanno davvero colpito, che poi è il magico accadimento che si realizza ogni volta che qualcuno scrive del katacrascio, qualcuno che non sia io.
Ordo verborum snaturato, ad esempio, è una ròba che non m'aveva detto mai nessuno, Gionata avrebbe ucciso per molto meno.
E nemmeno che i trentasei minicapitoli siano veri e propri petit coups de pinceau: pinzòché?

E poi c'è un passo, ecco, in cui si dice

Lo spaesamento è forte, quasi non capisci cosa tu stia leggendo; poi, pagina dopo pagina, ti ricordi che l’autore decompone volutamente la parola per riproportela così come tu non l’avevi mai percepita.
M'è tornata alla mente la volta in cui sono andato a cena in quel ristorante, si chiama Inopia, lo chef è Andrea Dolciotti, sta a Roma, vicino all'Aurelia Vecchia, in via del Fontanile Arenato.
Al Dolciotti quella volta abbiam detto fai tu, diciamo spesso fai tu allo chef, quando andiamo ai ristoranti, ci fa sentire massimamente democratici, e poi lo chef dovrebbe sempre poter agire come il più lisergico dei basquiat, mica come un ritrattista su commissione.

Quella sera nel piatto son capitati una tartare d'agnello con zuppa di burrata e gelato alla melanzana, un gazpacho di barbabietole con capesante ed agretti fritti, un finto riso in bouilloun di manzo e birra con le quaglie, una ganache di cioccolato bianco e cavolfiore con granita d'arancia e crumble, tra le altre cose.

Lo spaesamento era forte, quasi non capivamo cosa stessimo mangiando: il gelato è di vaniglia o di crema, mica di melanzana, il gazpacho è fatto col pomodoro e non con la barbabietola, gli agretti non si friggono, il riso deve per forza essere riso, mica calamaro trattato e sferificato come fosse riso; e poi il cavolfiore, andiamo, col cioccolato bianco, una ganache poi, maddai, massù.

Piatto dopo piatto ci siamo resi conto che lo chef decomponeva volontariamente gli ingredienti per riproporteli così come tu non li avevi mai percepiti.

Se proprio non vuoi leggertelo, il katacrascio, ecco, senti a me: vai almeno da Dolciotti all'Inopia.

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